Society
di Giulio Pons 7 Novembre 2014

A che punto è la battaglia tra gli editori e Google?

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Il regno di Google su Internet è sconfinato, è un regno potentissimo e, per forza di cose, guerrafondaio.

Una delle battaglie in corso è quella con gli editori europei e la questione è semplice: Google mostra nei risultati di ricerca (in particolare ci si riferisce a quelli della sezione Google News) dei piccoli paragrafi di testo, gli snippets, a corredo di ogni risultato della ricerca, molto utili per capire cosa cliccare. Ma questi testi sono opera degli editori e chiedono quindi al gigante di essere remunerati.
Google, dal canto suo, dice che è lui che porta traffico agli editori e quindi dice “siamo a posto così”.
La questione, ovviamente, va affrontata stato per stato, dato che siamo ancora in un’Europa frammentata e regolamentata nazione per nazione.

In Francia l’accordo trovato tra editori e Google ha portato la multinazionale a finanziare una tantum con 82 milioni di dollari un Fondo per l’innovazione degli Editori.

In Spagna la scorsa settimana è stata approvata una legge che protegge i testi delle notizie, in modo che il loro utilizzo da parte degli aggregatori online, come Google News, rappresenti una violazione del copyright e renda quindi legittimo per gli editori chiedere il pagamento di un compenso.

In Germania la battaglia è stata più cruenta e Google ha imposto che se le sue regole non vanno bene, i siti che non vogliono accettarle avranno solo i titoli nei risultati di ricerca.

In Italia la situazione sostanzialmente è ancora ferma.

Un nuovo preoccupante risvolto in questa battaglia è che in Germania il colosso dell’editoria Axel Springer, che però è piccolo come un topolino rispetto a Google, ha deciso circa due settimane fa di fare il duro e di nascondere gli snippets da Google News, lasciando solo i titoli. Il risultato è stato un immediato crollo dell’80% del traffico da Google News e del 40% dal traffico dalla ricerca web standard. Axel Springer (tra gli altri è l’editore del quotidiano Bild) si è veduto costretto a rimangiarsi la decisione, abbassare le orecchie e a tornare con la coda tra le gambe da Google.
Questo episodio, purtroppo, segna un precedente che potrebbe fare da guida nelle prossime trattative tra Google e gli altri stati che non hanno ancora affrontato la questione.

Google ha raggiunto una dimensione di dominio assoluto che ci costringe quindi alla sudditanza.

L’unica possibilità è regolamentare a livello europeo la tassazione di queste società: Google, come Amazon, Apple, Facebook e le altre, dovrebbe pagare le tasse per la quota di profitti che realizza in ciascuna nazione. Invece ha stabilito la sua sede legale in Irlanda e si permette un’elusione fiscale molto ingente.

Paradossalmente le dimensioni di Google le permetterebbero di trattare male intere nazioni: all’Italia non va bene che Google paghi le tasse in Irlanda? Ok, allora i servizi di Google, motore di ricerca, e-mail, mappe (per citare solo i principali che usano tutti), non saranno disponibili in Italia. La forza per farlo ce l’ha e anche il diritto.

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