Libri
di Simone Stefanini 3 Settembre 2015

La scrittrice Barbara Baraldi ed il suo oscuro Dylan Dog. L’intervista

La scrittrice di noir (e non solo) ha prestato la sua penna per un episodio di Dylan Dog che è piaciuto a tutti.

Innanzitutto qualche cenno biografico: Barbara Baraldi è una scrittrice e sceneggiatrice, che pubblica il suo primo romanzo “La ragazza dalle ali di serpente” nel 2007 con lo pseudonimo di Luna Lanzoni. Ha vinto per due anni di seguito il premio Mario Casacci come autrice noir, ha pubblicato per GialliMondadori, e il suo romanzo “La bambola dagli occhi di cristallo” è uscito anche in Inghilterra, prima di approdare alla letteratura per ragazzi con “Scarlett” (Mondadori) e “Un sogno lungo un’estate”(Einaudi). I suoi ultimi romanzi sono “Striges – La voce dell’ombra”(Mondadori) e “Aurora – Sleeping Beauty” (Pavesio).  Nel frattempo, per non farsi mancare nulla, si è messa a sceneggiare alcune storie di Dylan Dog, il noto Indagatore dell’Incubo della SBE. Il suo episodio “La mano sbagliata” è uscito questo mese e segna il suo debutto nella serie regolare.

Tutte le immagini del fumetto © Sergio Bonelli Editore  Tutte le immagini del fumetto © Sergio Bonelli Editore

 

La trama non ve la vogliamo spoilerare nemmeno per idea. Sappiate solo che c’entra l’arte ed il body horror, ma anche il rispetto per la diversità (argomento mai come adesso d’attualità). Sappiate che stavolta ci sono più donne che uomini e che fanno girare benissimo la storia, lasciando a Dyd il ruolo di onorevole comprimario. Dylan torna ad essere dark, i Joy Division fanno da colonna sonora e l’atmosfera che si respira non è troppo lontana da quella che si respirava sugli scalini di Campo di Marte a Firenze leggendo “Il lungo addio” mentre aspettavamo che aprisse il Palasport per vedere i Cure del Wish Tour (27 ottobre 1992, oops, ricordo personale)

Ha avuto recensioni positive ovunque e ci è piaciuto un bel po’ quindi abbiamo deciso di fare quattro chiacchiere con l’autrice:

Barbara baraldi Facebook - Barbara baraldi

L’albo di Dylan Dog che hai sceneggiato, sembra sia proprio piaciuto a tutti e come sai i fan di Dyd sono molto esigenti. Quando e come è nata la storia?
«La mano sbagliata» nasce dalla mia fascinazione per il “mostro”, inteso come prodigio, creatura straordinaria. Anita (la protagonista, una pittrice con una mano amputata)  è così, la sua pittura è carica di una forza evocativa senza eguali. Come spesso avviene, è stata una visione a darmi l’idea per la storia. Ripensando a un vecchio film che adoro: “Che fine ha fatto baby Jane?” ho avuto il primo incontro “subliminale” con Anita. Anche se la trama di quel film non assomiglia per niente a quella dell’albo, mi ha spinto a immaginare come si sarebbe comportata una persona a subire una terribile menomazione che, oltre a condizionare la vita di tutti i giorni, la priva di un fondamentale mezzo di espressione. Insieme alla mano destra, Anita perde la capacità di esprimersi con la sua arte, fino all’inaspettata “rinascita” a contatto con la morte.

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Come sei entrata in contatto con il personaggio inventato da Tiziano Sclavi?
Dylan è stato il primo fumetto che ho comprato con i soldi della paghetta, quando ero adolescente. Fino ad allora mi ero limitata a leggere gli albi delle collezioni di mio padre o di mio fratello. Con Dylan mi sono spaventata, mi sono commossa… o provato empatia per i “mostri”. Col tempo avevo avvertito una certa ripetitività nella serie, ma nel mio cuore è sempre rimasto il mio fumetto preferito.

Come ti sei trovata ad interagire con Nicola Mari, col quale condividi il gusto per il gotico?
Premetto che inizialmente non avevo idea che sarebbe stato Nicola a lavorare sulla mia sceneggiatura. Ho scritto procedendo a visioni, quasi come se un film mi passasse davanti agli occhi. La nostra, quindi, è stata un’interazione mediata unicamente dalle descrizioni delle scene e dalla cartella con la documentazione visiva che ho preparato. È stato Roberto Recchioni (che abbiamo già intervistato) a intuire che potevamo unire le reciproche visioni “oscure”, soprattutto in virtù di un background musicale e cinematografico comune. E poi perché entrambi amiamo un film, a mio avviso sottovalutato, come “Miriam si sveglia a mezzanotte” (con un David Bowie vampiro da paura e i Bauhaus che suonano Bela Lugosi’s Dead n.d.a.). Quando ho visto le tavole di Nicola, mi sono resa conto di quanto Roberto fosse stato lungimirante, Nicola ha interpretato con il suo tratto affilato e personalissimo la storia, facendola “sua” e rendendo alla perfezione le atmosfere torbide che avevo in mente mentre scrivevo la sceneggiatura.

Talvolta le “donne di un episodio” di Dylan Dog sono remissive, comprimarie, quasi un espediente per accendere la storia. Stavolta invece ce ne sono almeno 4, con le loro manie, i loro difetti e la loro forza, in grado di reggere la storia senza per forza fare la figura dell’oca impaurita. Sono molto naturali, pur nella loro estremizzazione.
Credo che la forza di una storia con un personaggio seriale sia anche nella caratterizzazione dei comprimari, e sia particolarmente interessante scoprire le interazioni che ci possono essere tra il protagonista – che conosciamo bene, data la longevità del personaggio – e i suoi antagonisti. In questo caso si tratta di donne. Donne forti, pur con le loro debolezze e fragilità, che ho cercato di far “respirare” attraverso i dialoghi. Ognuna di loro ha un background, una storia da raccontare, un universo di emozioni da condivide, come ogni donna vera, del resto.
Ho un’idea molto romantica della scrittura. Credo che i personaggi di una storia esistano già da qualche parte, in una sorta di universo parallelo, e compito dello scrittore, al pari di un medium, sia di portarli in questo mondo attraverso le parole e i disegni.

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Qualcuno ha scritto che è una storia alla primo Dario Argento, io c’ho visto anche richiami a “Duma Key” di Stephen King fino a “Mulholland Drive” di David Lynch. C’ho preso?
Confesso di non aver mai letto “Duma Key”, anche se King è uno dei miei miti sin dall’adolescenza. Alcuni lettori mi hanno segnalato dei punti in comune e ora sono curiosissima di leggerlo. Sarà un caso ma sul mio comodino, adesso, c’è “Revival” dello stesso King! Le maggiori fonti di ispirazione sono state l’Italian Giallo di Argento, che ho omaggiato a più riprese nella stesura della storia, il cinema noir degli anni Quaranta – Anita è una dark lady a tutti gli effetti – e le atmosfere dei film del grande Hitchcock. Dal punto di vista letterario, il mio riferimento principale è il gotico ottocentesco di autori come Edgar Allan Poe e Carolina Invernizio (non a caso la storia si intitolava originariamente “Le mani di una morta” come omaggio alle opere di colei che i critici soprannominarono malignamente “la casalinga di Voghera”). Mulholland Drive è uno dei miei film preferiti di Lynch e lui un autore a cui inconsciamente mi ispiro molto, e l’accostamento non può che farmi felice!

La più palese differenza d’approccio tra la scrittura di un romanzo e la sceneggiatura di un fumetto?
Scrivendo una sceneggiatura tengo presente che il mio primo lettore è il disegnatore, e questo condiziona il modo in cui descrivo le scene, che deve essere il più possibile semplice e lineare. Diversamente da quanto avviene nel cinema, uno sceneggiatore di fumetti è un po’ il “regista” della storia, suggerisce inquadrature, luci, atmosfere – Sclavi è un maestro in questo. Scrivendo un romanzo traduco le mie visioni nei paragrafi che il lettore si troverà a leggere, chiedendogli uno sforzo maggiore di immaginazione… quindi il linguaggio deve riuscire a far vedere ciò che in un fumetto sono le immagini a mostrare.

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Tu scrivi romanzi per adulti e per ragazzi, saghe, sceneggiature. Cosa ti riesce più naturale e in cosa invece hai bisogno di più disciplina?
Sono una scrittrice piuttosto disciplinata, scrivo tutti i giorni con continuità, ma devo ammettere che il linguaggio della sceneggiatura mi viene più naturale… forse proprio per il modo che ho di immaginare una storia, che è sempre per visioni.

Domandati: se dovessi scegliere un genere tra quelli che hai “frequentato” maggiormente, il fantasy, il giallo o l’horror e perché?
È una domanda difficilissima perché nei miei fantasy c’è sempre l’elemento horror, nei miei gialli c’è sempre una spruzzata di fantastico e nei miei horror ci finisce spesso l’elemento romantico. Forse soffro di una sindrome da genere multiplo, o forse davvero i generi esistono solo per aiutare i librai a posizionare i libri sullo scaffale.

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Hai accennato ad un nuovo numero di Dyd in cui mostrerai l’adolescenza dell’Indagatore dell’Incubo, che suonava il basso in una band post punk, con la maglietta dei Bauhaus. Ne deduco che quel tipo di musica sia una parte fondamentale della tua ispirazione 
Quando scrivo ho sempre una colonna sonora di sottofondo. Il punk dei Ramones, la New Wave dei Cure o dei Joy Division. Per esempio, adesso sto ascoltando una playlist del David Bowie d’annata…

Vuoi parlarci dei progetti che hai in cantiere?
Ho da poco terminato un thriller che spero veda la luce l’anno prossimo, un lavoro di anni di documentazione e stesura. Proprio dal thriller ho iniziato a muovere i primi passi nel lontano 2007, si tratta quindi di una sorta di ritorno al mio primo amore, anche se in realtà non lo avevo mai abbandonato… confido di poter dare qualche notizia al riguardo al più presto!

Benissimo, prima di salutarci però devo farti la domanda che ho sempre voluto porre ad uno sceneggiatore di fumetti: in ogni albo Bonelli (ma anche in altri) prima o poi spunterà un personaggio che esclama “Ma cosa…?”. Dite la verità: siete legati per contratto a questa espressione oppure fare parte di una speciale carboneria del Maccosa di cui lettori non sanno nulla?
Ahahaha ci hai scoperti! Trattasi di Setta Segreta “Ma cosa…?”

maccosa

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