Society
di Andrea Meregalli 1 Febbraio 2016

Perché il Super Bowl è il più grande spettacolo del mondo

Nel 2014, l’indotto del Super Bowl è stato di 150 milioni di dollari

football

 

Manca poco all’evento sportivo dell’anno. No, non le Olimpiadi. E no, nemmeno l’Europeo di calcio. Manca poco al Super Bowl, la finale del campionato statunitense di football. Il prossimo 7 febbraio gli occhi del mondo guarderanno a ovest, in California, dove al Levi’s Stadium di Santa Clara si affronteranno Carolina Panthers e Denver Broncos, franchigie vincitrici rispettivamente della National Football Conference e della American Football Conference, le due costole speculari della National Football League (NFL), la lega professionistica statunitense.

Un Superbowl ancora più speciale, quello di quest’anno. Perché la finalona fa cifra tonda: è l’edizione numero cinquanta. Un anniversario che ha imposto nientemeno che la revisione del logo, per una volta non veicolato attraverso la numerazione romana, come era sempre successo – niente Super Bowl L, insomma – ma via alla numerazione araba. Super Bowl 50, boom.

 

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Quando parliamo di evento sportivo dell’anno, noi europei dobbiamo fare uno sforzo di immaginazione. Perché gli Stati Uniti sono gargantueschi in tutto e perché non c’è niente di più americano del football americano elevato all’atto finale. E sappiamo quanto è difficile entrare in quel mondo.

Dal 30 gennaio al 7 febbraio la Baia di San Francisco ospiterà Super Bowl City, attività gratuite per i fan con focus sulle eccellenze produttive, turistiche e sportive del territorio. Con gigantesche ricadute economiche: è stato di 150 milioni di dollari l’indotto ottenuto dalla città di New York e dallo stato di New Jersey che hanno ospitato nel 2014 il Super Bowl XLVIII.

Il tutto a supporto del tradizionale National Football League Experience, un parco a tema temporaneo che fa capolino durante la settimana del Super Bowl e che propone eventi e attrazioni interattive variegatissime tipo lanciare un pallone da football, improvvisare una danza post touchdown, segnare un punto addizionale, giocare ai videogiochi, mangiare e bere parecchio, incontrare celebrità, farsi i selfie con le cheerleader, assistere a concerti e fruire di esibizioni culturali e soprattutto comprare il merchandising della National Football League, comprensibilmente in edizione limitata cinquantesimo anniversario.

E gli eventi collaterali? Cioè, gli eventi collaterali agli eventi collaterali del Super Bowl? Un festival del vino, della birra e del cibo all’Università di Santa Clara non ce lo mettiamo? E un “pep rally”? E un weekend di “cose da fare” presso il Santa Clara Convention Center? Certo che ce li mettiamo. Infatti da quelle parti sono attese oltre un milione di persone durante la settimana del Super Bowl.

 

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E poi ci sono le televisioni. I principali network a stelle e strisce si palleggiano la trasmissione, alternandosi. Quest’anno i diritti sono della Cbs. Espn Deportes, in accordo con la stessa Cbs, si occuperà della diretta in lingua spagnola. Gli spettatori saranno verosimilmente oltre 110 milioni solo negli Stati Uniti. Ma – è evidente – il Super Bowl viene mandato in onda in tutto il mondo. In Italia attraverso le dirette Mediaset Premium – con commento italiano in esclusiva – e Sky. La portata diventa di un miliardo di persone, un settimo della popolazione mondiale.

Dentro la diretta, ci sono gli spot. Spot concettuali, veri e propri cortometraggi, Liam Neeson che gioca a Clash of Clans. Quest’anno un break di 30 secondi costa 5 milioni di dollari, nuovo record (nel 2006, soltanto 10 anni fa, costava la metà). E i migliori brand che fanno? Si tuffano di testa. Comunicazione e creatività all’ennesima potenza. Robe rivoluzionarie. Robe abbastanza divertenti. Robe divertenti. Robe molto belle. Cagate inverosimili. Uno spettacolo nello spettacolo.

Come il tradizionale “halftime show”. Per chi non lo sapesse un mini concerto durante l’intervallo del Super Bowl. Quest’anno si esibiscono i Coldplay con Beyoncé, Bruno Mars e Rihanna. L’anno scorso c’erano Katy Perry, Lenny Kravitz e Missy Elliot. Nel 2010, per dire, c’erano gli Who. Negli anni abbiamo avuto Prince, i Rolling Stones, gli U2, Bruce Springsteen, The Blues Brothers, Michael Jackson e problemi di capezzoli.

Infine – dimenticavo – c’è anche la partita di football.

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