Art
di Sandro Giorello 13 Dicembre 2016

I murales maestosi e giganti di Luca Zamoc

Le sue opere richiedono uno sforzo fisico e mentale non indifferente. Luca Zamoc ci racconta il suo lavoro

 

Luca Zamoc è uno street artist, tra i più interessanti in Italia. Amante della mitologia come del mondo dei fumetti, i suoi lavori – non importa che siano su muro, su tela o su altre superfici – comunicano un senso epico e fantastico insieme. Spesso si lancia in opere dalle dimensioni maestose che lo costringono a un sforzo fisico e mentale non indifferente. La sua è una ricerca costante, perché se un artista diventa ripetitivo diventa pop, nella peggiore accezione del termine. Ha risposto a qualche nostra domanda.

Breve presentazione: chi sei, quanti anni hai, da dove vieni?
Luca Zamoc, classe 1986, Modena. Avido divoratore di Gocciole.

Dove sei adesso? Descrivi la stanza in cui ti trovi.
Sono a Cesuna (altopiano di Asiago), nella casa del mio mastro-bottega Giorgio Spiller. Sopra di me un enorme scaffale pieno di libri, disegni di maschere veneziane post-moderne, sculture e mock-up di scenografie anni ’80. È tutto meraviglioso, ma fa un freddo porco.

La prima cosa che hai disegnato e l’ultima.
Da piccolo ero ossessionato dai dinosauri, mi ricordo un disegno in tenerissima età di un T-Rex che divora un Diplodoco, pieno di sangue. Forse uno dei primi grandi sconforti che ho dato alla mia povera madre. L’ultimo è una sezione di crosta terrestre racchiusa in un monolite alto 11 metri. Questo invece a mia madre è piaciuto molto.

Hai dei rituali prima di metterti al lavoro e dopo aver finito?
Dipende dal lavoro. Se si tratta di un muro grosso, l’unico rituale è post-lavoro: cercare di vivere il meno possibile. Dipingere grandi superfici richiede un livello di energia fisica e mentale talmente alto che se poi non riposo il corpo e la mente mi ammalo. Se si tratta di un muro piccolo necessito una sana partita di Machiavelli post-doccia e di una birra gelata in mano col mio amico Ciccio Freschezza. Se disegno su carta invece, devo costantemente tenere la mia mente distratta, il più lontano possibile da quello che sto facendo altrimenti faccio il triplo della fatica. Questo viene da un rapporto controverso col disegno: se appoggio la penna sulla carta penso automaticamente ai miei peggiori problemi, che potrebbero rendermi poco volenteroso a iniziare. L’escamotage per riuscire a fare ciò che più amo senza troppe preoccupazioni l’ho trovato grazie all’avvento di Padre Internet: se inizio a disegnare alla mattina metto su podcast acculturati, tipo Radiolab, se è pomeriggio mi guardo film di mostri tamarri, tipo Pacific Rim.

 

Qual è la tua tecnica preferita e perché?
Dipingere muri di grandi dimensioni, che comprende un insieme di tecniche. Bisogna saper misurare, riconoscere le superfici, guidare gru, stuccare, smerigliare, disegnare, dipingere. La cosa più bella è che ogni muro è un cantiere e ciascuno si porta dietro nuove sfide;  è complicato e per questo molto stimolate. Cambiano le piattaforme, le altezze, le proporzioni. Possono esserci un’infinità di ostacoli tra cui meteo, vertigini, errori di progettazione. Ci sono quasi sempre tempistiche strette e pochissimi soldi, secchi che si rovesciano, colori sbagliati, umarèl molesti.  Ma, soprattutto, non c’è nessuno a insegnarti come si fa, se non l’esperienza. Non ci sono scuole di muralismo, quello che viene l’hai tutto assorbito dalla strada, dai tuoi amici, da te stesso. È il massimo.

 

 

Qual è l’errore che un artista non dovrebbe mai commettere?
Secondo solo al plagio c’è l’interrompere la ricerca e “brandizzare” il proprio lavoro. L’arte è una responsabilità, verso se stesso, gli altri, l’universo, poco importa: rimane una responsabilità. Deve esserci un percorso votato alla crescita, all’evoluzione. Troppo spesso si vedono artisti di successo che fanno sempre la stessa cosa e non per ossessione o ricerca personale, ma in maniera demagogica, lucrativa: è il pop nella peggiore delle sue espressioni. D*Face e London Police sono due esempi che detesto, da vent’anni a questa parte sai sempre quale sarà il loro prossimo muro. Artisti come 108 o 2501 invece rappresentano il contrario, perché son riusciti a evolversi in maniera impeccabile, partendo dai graffiti e raggiungendo un livello di estetica tale da essere complementare sia al muralismo, sia alla fine art, il che non è cosa facile. In questo settore sono i più grandi in Italia, senza alcun dubbio, e avranno sempre la mia stima assoluta.

Che rapporto hai con le tue opere? Le vendi senza problemi o fai fatica a staccarti?
Conta che sono tutte stipate in un armadio sigillato da una scritta “se apri ti ammazzo”.

 

Luca Zamoc  Luca Zamoc

 

Se avessi un milione di euro, quale sarebbe la prima cosa che compreresti?
Mi comprerei una barca a vela e mi fionderei a Cape Horn a costo di non tornare a raccontarlo.

Fai il nome di tre colleghi che secondo te meriterebbero di essere più conosciuti.
Eh no, con un’occasione del genere mica mi posso fermare a tre colleghi. Innanzitutto vorrei vedere più muri di G Loois, di Alfano, di Gola e di Basik. Vorrei più video di Lorenzo Fonda e di Carlo Zoratti, più sceneggiature di Cosimo Bizzarri e di Luca Speranzoni, più illustrazioni di Marco Klefisch, Plusyes, Superexpresso e Marcello Crescenzi. Vorrei più foto di Zuek, di Fakso, di Claudio Majorana, più storie di Manuele Fior, di Davide Reviati, di Marino Neri. Vorrei che la gente si rendesse conto che l’Italia è ancora un riferimento, che dobbiamo smetterla di rosicare guardando all’estero come la terra promessa senza renderci conto che sempre, in tutte le più alte sfere creative del mondo, c’è almeno un italiano. L’Italia si meriterebbe di conoscere di più se stessa, e lo dice uno che ha vissuto lontano sette anni e, una volta tornato, l’ha capito in maniera incontrovertibile.

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