TV e Cinema
di Chiara Minetti 30 Aprile 2012

The Hunger Games – Un saggio sul voyeurismo filmico [recensione]

Premessa: The Hunger Games è una bomba. Diffidate da quelli che vi dicono che è l’ennesimo fenomeno Twilight.

Premessa: The Hunger Games è una bomba. Diffidate da quelli che vi dicono che è l’ennesimo fenomeno Twilight, prodotto che ha comunque un suo perché. Entrambi i film sono tratti da due saghe letterarie, entrambi hanno come protagonista una figura femminile forte ed entrambi hanno sbancato al botteghino americano. Hunger Games però ha più “valore” di Twilight, provo a spiegarne i motivi.

La protagonista assoluta di The Hunger Games è Katniss Everdeen, traino di tutta la storia, che viene estratta per partecipare agli Hunger Games, i giochi istituiti dal governo di Panem, una nazione fittizia nata dalle rovine di quello che una volta era il Nordamerica. Ogni anno i giochi coinvolgono due “tributi”, un ragazzo e una ragazza tra i 12 e i 18 anni provenienti dai dodici distretti di Panem, una volta territori ribelli e responsabili di una grande guerra conclusasi con l’instaurazione della dittatura. L’obiettivo degli Hunger Games è semplice: fare in modo che il passato non venga dimenticato continuando a punire quelli che settant’anni prima sono stati responsabili della guerra.

I primi 20 minuti del film ci mostrano chi è Katniss Everdeen. Una ragazzina adolescente ma cresciuta in fretta: mamma per la sorellina ma anche per la madre naturale, mai del tutto ripresasi della morte del marito. Katniss provvede al sostentamento della famiglia: caccia e guadagna. Il distretto dove vive, il dodici, è composto da tante ragazze come lei, povere senza prospettive. Il giorno della mietitura, ovvero quello della selezione per gli Hunger Games, la sorellina di  Katniss è chiamata a partecipare, ma la ragazza si sacrifica e si candida volontariamente al suo posto. Assieme a Peeta, il tributo maschile, viene scortata a Panem. Da qui in poi inizia il suo viaggio.

Cosa sono gli Hunger Games? Sono dei giochi mortali, della durata di diversi giorni, in cui 24 ragazzi vengono proiettati in un modo virtuale ma assolutamente credibile. Il gioco, infatti, pur appartenendo al genere fantascientifico, sottostà a regole del mondo reale: si muore di fame, di malattia e di ferite dovute agli scontri. L’arena stessa dei giochi non ha niente di innaturale: è un bosco, fatto d’alberi e ruscelli. Il mondo è stato concepito ispirandosi all’antico fascino del mito greco di Teseo, che ogni nove anni spediva una falange, composta da ragazzi e ragazze, in un labirinto mortale per combattere il mostruoso Minotauro. Un dettaglio interessante è la presenza di un equipe di “ingegneri” che introduce nel mondo nuovi elementi di interesse per stimolare il gioco durante i cali di attenzione.

I rimandi alla degenerazione dei reality show e al concetto di voyeurismo della nostra società sono molto chiari. Ci sono stati altri film che hanno trattato il tema, uno fra i tanti Live! – Ascolti record al primo colpo –, 90 minuti di pura provocazione che mostrano cosa è in grado di partorire una mente umana pur di aggiudicarsi le percentuali giuste di share. In Hunger Games, ci sono numerose inquadrature, la maggior parte delle quali dal punto di vista di Katniss, che si concentrano sui dettagli dei visi, sulle espressioni deformate degli abitanti di Panem, gli unici spettatori che traggono gioia a guardare i giochi. L’effetto è quello di svelare la natura, mostruosa, di chi prova fascino nel seguire questo genere di prodotti, dato che in qualche modo lo spettatore degli Hunger Games è equiparato a quello del nostro Grande Fratello. La messa in scena è quindi quella di ciò che oggi non riusciamo più a distinguere come tale, ovvero il Male, perché assuefatti a 73 anni di Hunger Games, ai quali siamo incapaci di reagire per paura o semplicemente per abitudine.

Altro mondo di riferimento del film, oltre al reality, è quello del conflitto moderno. Nell’arena di Hunger Games si consuma letteralmente una guerra di sangue senza che nessuno faccia niente per evitarla. Gli scontri sono violenti, anche se la scelta di Gary Ross, regista del film, è comunque quella di non mostrare immagini troppo crude o sanguinolente per arrivare a un maggior numero di pubblico possibile. Il tema della guerra e quello del voyeurismo sono il centro di tutti i discorsi sul film. Nei primi minuti un amico di Katniss le dice: “Potrebbero non esistere più se tutti smettessero di guardarli”, riferendosi ai giochi. La forza della ragazza sarà smascherare il loro meccanismo fondante rimanendo se stessa, senza apparire una marionetta nelle mani di qualcosa di più grande e uscendo dal ruolo che la società le ha imposto non riuscendo tuttavia a cambiarla del tutto.

Nonostante le tematiche di Hunger Games siano già state affrontate, la messa in scena del conflitto è intelligente e originale. Katniss è la forza del film anche grazie all’ottima interpretazione di Jennifer Lawrence. Il ritmo, sempre sostenuto, consente di rimanere incollati alla sedia fino in fondo. La sensazione, a film finito, è quella di un maggior grado di consapevolezza sul “problema”, di cui siamo tutti colpevoli e complici. Noi spettatori, tanto quanto gli abitanti di Panem, partecipiamo spesso – con la visione – a spettacoli brutali: le regole degli Hunger Games sono le stesse a cui sottostiamo quando scegliamo di guardare un certo genere di prodotti. In sala abbiamo provato in prima persona la curiosità di sapere come sarebbero morti i personaggi, desiderosi di scoprire il modo in cui sarebbe successo.

Siamo davvero così diversi dagli abitanti di Panem?

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