TV e Cinema
di Sandro Giorello 9 Novembre 2016

Vent’anni fa andava in onda “Se io fossi… Sherlock Holmes”, il programma più assurdo della tv italiana

Meno di un’ora per scoprire l’identità di una persona servendosi solo di un elenco telefonico e di un telefono fisso

se-io-fossi-sherlock-holmes youtube.com - Se io fossi… Sherlock Holmes

 

A novembre del 1996 veniva inaugurata su TMC l’ultima stagione di Sei io fossi… Sherlock Holmes. Scritto e condotto dall’autore/regista/cantante/ballerino/veejay Jocelyn Hattab, era già andato in onda due anni prima sulla Rai in una versione ridotta, durava appena venti minuti ed era messo subito dopo il TG2. Su TMC, invece, durava cinquanta minuti e veniva trasmesso tutti i giorni, dal lunedì al sabato, alle cinque del pomeriggio.

Sei io fossi… Sherlock Holmes era un gioco a premi con un solo concorrente. In palio c’era un viaggio e, per vincerlo, bisognava risalire al proprietario di un oggetto smarrito – poteva essere una valigia, uno zaino, uno strumento musicale o anche solo un’agenda – usando esclusivamente un telefono fisso ed un elenco telefonico (le due parole sono linkate per tutti i millennial che, quasi sicuramente, non sanno cosa sono). Lo studio era realizzato in una stanza il cui arredamento ricordava vagamente quello di una casa inglese e il giocatore aveva a disposizione 40 minuti per scoprire, come un novello Sherlock Holmes, chi avesse perso l’oggetto in questione.

 

Tenete presente il periodo: è il 1996, Non è la rai è appena finito, manca poco al lancio di MTV Italia e tra i programmi più visti in assoluto c’è Carramba che sorpresa. In mezzo a show iper-stimolanti tutto ritmo e ballerine, Sei io fossi… Sherlock Holmes proponeva una persona seduta a una scrivania che stava al telefono per quasi un’ora, il più delle volte sempre inquadrata nello stesso modo. Gli unici punti leggermente più frizzanti del programma consistevano nelle battute di Yoo, un gatto siamese parlante dall’umorismo decisamente discutibile. Nonostante questo, io facevo di tutto per non perdermi nemmeno una puntata.

Era bello seguire il giocatore, scoprire con lui i dettagli di questo misterioso proprietario, frugare tra le sue foto e tra le sue abitudini. Anticipava quello che poi, anni dopo, ci avrebbe fatto gola dei reality show – il voyeurismo, la telecamera fissa nella stanza, la gente normale che vive la sua vita normale – ma aveva un’immagine già elegantemente rétro. Più che un reality era un gioco in scatola – tipo Cluedo o Scotland Yard – ma fatto in televisione e utilizzando le storie delle persone comuni.

E poi era divertente capire gli stratagemmi dei concorrenti per avere le informazioni di cui avevano bisogno: dal momento che non potevano dire ufficialmente che stavano partecipando a un programma televisivo, si inventavano le peggiori balle possibili, tipo fingersi il padre che cerca lo spasimante della figlia, un datore di lavoro che non conosce il nome dei suoi dipendenti, un’innamorata alla ricerca del ragazzo conosciuto in spiaggia o il responsabile di una lotteria che deve trovare il suo fortunato vincitore. Telefonata dopo telefonata, passavano in rassegna osterie, giornalai, fiorai, negozi, tracciando un disegno immaginario della provincia italiana e di tutti i personaggi che la abitano.

Per molti – in primis Antonio Ricci di Striscia La Notizia – era tutto finto ma, in fondo, non era così importante. Lo spettatore voleva crederci e questo era sufficiente. Sei io fossi… Sherlock Holmes è andato in onda per una novantina di puntate ed è stato poi sospeso definitivamente a febbraio del 1997. È stato sicuramente uno dei programmi più assurdi della tv italiana e sarebbe giusto che tornasse presto in onda. Cioè, Rischiatutto sì e Sherlock Holmes no? Chissà quante valigie sperano ancora che Jocelyn le riporti a casa.

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