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Il trionfo dell’incubo, Edward Kienholz alla Fondazione Prada

Kienholz: Five Car Stud. Immagini della mostra a cura di Germano Celant, 19 maggio – 31 dicembre 2016 Fondazione Prada, Milano – Foto: Delfino Sisto Legnani Studio – Courtesy: Fondazione Prada

 

Gli incubi di Edward Kienholz arrivano dal 19 maggio alla Fondazione Prada. L’esposizione Kienholz: Five Car Stud proseguirà fino al 31 dicembre 2016, a cura di Germano Celant, e ci porterà a spasso nelle allucinazioni dell’artista americano e della compagna e partner creativa Nancy Reddin Kienholz.

Kienholz, pioniere dell’arte concettuale, è scomparso nel 1994: più celebre in Europa che in America, in Italia non è sicuramente un artista noto alle masse, ma è sicuramente un artista che vale la pena di conoscere meglio.

 

 

Di lui si legge qualcosa andando indietro nel tempo online fino al 2000, e su BTA troviamo qualche informazione in più su di lui, raccontata anche da chi lo ha conosciuto direttamente “Kienholz non ebbe un’istruzione formale, non studiò storia dell’arte, egli voleva fare un’arte per quelli come lui, che non sanno niente di arte. «Io riproduco cose che tutti conoscono. Ad esempio nel caso di un’opera come The Beanery, il pubblico può benissimo ignorare la parola “arte”, ma sa sicuramente che cosa è un bar, o un bordello nel caso di Roxy’s. Li riconoscono, capiscono e partecipano» Ma attraverso questa ingenuità egli celava, di fatto, la capacità di assorbire le attività abituali in una dimensione estetica in grado di stravolgerle e costringerci ad osservarle filtrate dal suo sguardoscrive Isabella Li Gotti.

 

Kienholz: Five Car Stud. Immagini della mostra a cura di Germano Celant, 19 maggio – 31 dicembre 2016 Fondazione Prada, Milano – Foto: Delfino Sisto Legnani Studio – Courtesy: Fondazione Prada

 

La sua opera più importante che troveremo esposta negli spazi di via Isarco a Milano è sicuramente Five Car Stud, un’installazione creata tra il 1969 e il 1972. In Five Car Stud vediamo alcuni uomini bianchi, i volti mascherati, deformi, demoniaci, intenti e evirare un uomo nero, sotto gli occhi della compagna con cui si era appartato. Non proprio un’opera “per tutti”, ma potentissima ancora oggi, più di quarant’anni dopo la sua realizzazione.

È una scena allucinata, inquietante, quella di Five Car Stud. L’opera è “rimasta non visibile nel deposito di un collezionista giapponese per quasi quarant’anni. Solo tra il 2011 e il 2012, dopo il suo restauro, è stata ripresentata al pubblico del Los Angeles County Museum of Art e del Louisiana Museum of Modern Art in Danimarca. Ora parte della Collezione Prada, riappare per la prima volta in Italia in questa mostra” spiega Fondazione Prada.

 

Edward & Nancy Reddin Kienholz Jody, Jody, Jody, 1993–94. Immagini della mostra a cura di Germano Celant, 19 maggio – 31 dicembre 2016 Fondazione Prada, Milano – Foto: Delfino Sisto Legnani Studio

 

Maestro di un’arte della repulsione, Kienholz, scrive Germano CelantCon Five Car Stud (1969-72) si addentra nell’odio razziale, rappresentando le personalità multiple e diaboliche dei violentatori del ragazzo afroamericano al centro dell’opera. Una scena terrificante che riflette le contraddizioni di una società che professa l’uguaglianza e la libertà, ma che non accetta l’altro – prima gli indio-americani, poi gli afroamericani –, anzi li massacra e li evira. In Five Car Stud l’intreccio tra morte e sesso dissolve le forme delle persone e le rende materie putride e aberranti. I corpi di Five Car Stud sono mostruosi, circondati e illuminati da cinque macchine: gli esseri umani vi appaiono come masse vischiose e amorfe, dai volti orrendi e terrificanti, coperti da maschere di Halloween, che emergono per la loro bianchezza cadaverica, e li rendono angoscianti da vedere, in relazione all’azione di castrare l’afroamericano vigliaccamente bloccato a terra“.

Per Kienholz la missione è “far risplendere l’universo basso e popolare, dove il macilento e lo sporco, il perverso e il lurido, rappresentano una bellezza nuova e sorprendente“, ed esposte alla Fondazione Prada troveremo anche altre sue opere, tra cui il rilievo in legno Ore the Ramparts We Watched, Fascinated, del 1959, ispirato alla corsa allo spazio tra americani e russi, assemblaggi che inglobano o simulano monitor, come The Death Watch del 1976, e molto altro ancora.

Gabriele Ferraresi

Lavoratore intellettuale salariato

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Gabriele Ferraresi

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