La sentenza n. 20476 del 2025 introduce infatti un principio innovativo che potrebbe avere impatti rilevanti per i contribuenti: il mancato ricorso contro un’intimazione di pagamento per una cartella esattoriale prescritta può trasformare il debito inesigibile in una somma esigibile, con conseguenze concrete sul piano fiscale.
Il problema si presenta quando un contribuente riceve un sollecito di pagamento relativo a una cartella esattoriale notificata molti anni prima, spesso oltre i dieci anni. Nel pensiero comune, si ritiene che tali debiti siano ormai prescritti e quindi non più esigibili. Tuttavia, la Corte di Cassazione ha ribaltato questa convinzione consolidata con la sua pronuncia del 2025: qualora il contribuente non impugni l’intimazione entro 60 giorni, il debito prescritto può “risorgere” e diventare nuovamente esigibile.
Il mancato ricorso viene interpretato come una tacita accettazione della pretesa dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, sancendo così quella che la Corte ha definito una “sanatoria per inerzia”. Questo significa che la prescrizione, che avrebbe dovuto estinguere il debito, viene in pratica sanata dall’inerzia del contribuente, che non risponde né paga.
Cosa comporta questa novità per i contribuenti?
In passato, anche dopo un sollecito tardivo, il contribuente poteva attendere eventi come pignoramenti o ipoteche per opporsi al credito, visto che tali atti avevano una durata limitata nel tempo. Ora, invece, la Corte sottolinea come questa strategia sia rischiosa: il silenzio davanti all’intimazione di pagamento è sufficiente a riattivare il credito, rendendolo definitivamente esigibile e incontestabile.
Non solo la prescrizione, ma anche altri vizi formali (ad esempio errori di notifica o di calcolo nella cartella) devono essere contestati tempestivamente. In caso contrario, anche in presenza di errori evidenti, il mancato ricorso comporta l’accettazione implicita del debito.

L’intimazione di pagamento è un atto formale con cui l’Agenzia delle Entrate-Riscossione diffida il contribuente a saldare entro cinque giorni un debito già definito in una cartella esattoriale. Questo atto, previsto dall’articolo 50 del DPR 602/1973, ha una funzione preliminare obbligatoria prima di avviare azioni esecutive quali pignoramenti o ipoteche.
Dal punto di vista pratico, l’intimazione:
- Elenca i debiti pendenti con dati precisi (numero di ruolo, importi, interessi, sanzioni);
- Ordina il pagamento entro un termine breve (solitamente 5 giorni);
- Avverte che in mancanza di pagamento si procederà con esecuzione forzata.
L’intimazione può essere notificata anche molti anni dopo la cartella originaria, soprattutto in caso di posizioni debitorie “dormienti”. Ciò permette all’Agenzia di riattivare la riscossione prima che il debito cada definitivamente in prescrizione.
Prescrizione e interruzione
Il termine di prescrizione varia in base alla natura del debito, in genere tra 5 e 10 anni. Tuttavia, l’intimazione ha effetto interruttivo: notificandola, l’Agenzia interrompe i termini prescrizionali, “resuscitando” il credito e prolungando la sua esigibilità.
Il contribuente ha diritto di richiedere prova degli eventuali atti interruttivi ai fini della verifica della legittimità della pretesa. Se tali atti non sono esistenti o non sono stati notificati, è possibile impugnare l’intimazione entro 60 giorni per far dichiarare l’intervenuta prescrizione.
Come tutelarsi: impugnare subito l’intimazione per evitare di pagare
L’unica via sicura per evitare di dover versare importi relativi a cartelle esattoriali prescritte è presentare ricorso entro 60 giorni dalla notifica dell’intimazione di pagamento. Il ricorso può essere motivato non solo dalla prescrizione, ma anche da eventuali difformità nella notifica, errori nel calcolo del debito o altri vizi formali.
Rivolgersi a un professionista esperto in contenzioso tributario è fondamentale per:
- Analizzare la documentazione e verificare i termini di prescrizione;
- Richiedere all’Agenzia la produzione degli atti interruttivi;
- Presentare tempestivamente ricorso o istanza di autotutela;
- Bloccare l’azione esecutiva e tutelare il proprio patrimonio.
Non agire significa accettare implicitamente il debito, anche se inesistente o illegittimo secondo le vecchie regole.