Food

Abbiamo provato per voi il leggendario cavedano fritto in salsa di prugne cinese in scatola

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Nel caso vi recaste in via Padova a Milano, ormai gentrificata come Nolo, vi troverete in quelle vie in cui si va nella città dolente, si va nell’eterno dolore, si va tra la perduta gente, per rubare le parole all’ultimo soggiorno di Dante in zona. Stiamo giocando, non se la prendano i residenti (ciao Peppe), tuttavia può capitare di recarsi in loco per spese piuttosto borderline oppure per frequentare cattive compagnie, ma anche per fare esperimenti culinari di dubbio gusto.

Capita quasi per caso che in una delle tante pausa pranzo redazionali a base di delizie prese dal reparto gastronomia del supermercato, a qualcuno venga in mente quella scatoletta nella dispensa da almeno due anni, comprata al Milan Store di Via Padova da Bottura (non il cuoco) più per l’oggettiva bellezza della grafica che per il suo effettivo contenuto. Viene poi fuori che era stata comprata per farla recensire dal noto critico gastronomico Gabriele Ferraresi, il quale però a suo tempo appose un netto ed inspiegabile rifiuto alla proposta. La domanda che alberga nella sadica mente degli astanti è una sola: proviamola.

 

 

La scatola reca scritte in cinese ma ci viene in aiuto l’unica etichetta in inglese: Fried dace with plum vegetables, che tradotta sarebbe tipo Cavedano fritto in salsa di prugne. La confezione mostra la foto di un cavedano scontornato un po’ alla carlona, mentre poco sopra lo stesso cavedano è stilizzato graficamente in rosso.

 

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Nell’aprire il packaging di latta, si rompe subito la linguetta e siamo costretti ad agire con un coltello, per aggiungere brivido al pericolo. Non appena il coltello affonda nella confezione, dall’interno della stessa esce un gas cripto-sulfureo che investe metà redazione. È l’odore di Satana in persona e il colore non è di quelli invitanti, un misto di toni di marrone che ricordano, beh, quello.

 

 

La prelibatezza non è ancora scaduta, sembra che marcisca intorno al novembre del 2018 ma anche a febbraio non se la passa proprio bene. Non appena viene fatta girare per una sniffata collettiva, tutta la redazione si rifiuta di proseguire nell’esperimento. Restano gli stagisti. Lo sappiamo cosa state per dire: bastardi, approfittatori, persone inique. Esatto, ma solo per la scienza.

Dopo qualche minuto di training autogeno, riusciamo a convincere il più recente degli interni ad assaggiarne un solo boccone, per la gioia del giornalismo. Il pesce in realtà non sembra davvero fritto, forse lo era nel 2015 quando è stato confezionato, ma ora appare come il risultato di un orribile incidente nucleare e non si distingue granché dal resto del contorno, che ricordiamo essere di prugne, giusto per essere sicuri di guadagnarsi una dissenteria coi fiocchi alla fine della giornata.

 

 

Una volta in bocca, la consistenza pare sia gommosa e la prima cosa che il giovane Jedi riesce a dire tra una smorfia di disgusto e un conato è: “Non sa di pesce”. Il problema è che non riesce a capire quale sia la griglia di possibili somiglianze alimentari del cavedano fritto nelle prugne in scatola, quindi il suo sapore reale rimane un mistero insoluto nonostante la buona volontà.

 

 

Per completezza di informazione sappiate che la cavia sta bene, ha mangiato un bel po’ di pane per togliersi dallo stomaco le tracce del prelibato pesce e dopo aver bevuto un ettolitro d’acqua ha continuato a lavorare come se niente fosse.

Nonostante questa storia abbia il lieto fine, vi raccomandiamo di non provare questi esperimenti a casa, può darsi la nostra sia stata solo fortuna.

Alla prossima prelibatezza!

 

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Simone Stefanini

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