Se vi è mai capitato di passeggiare per Milano in zona Corso Venezia, sarete rimasti sicuramente colpiti dal palazzo con la facciata ad angolo al numero 8 di Via dei Cappuccini. L’edificio in questione ad un primo sguardo si inserisce perfettamente nel contesto urbano della zona, ma a ben guardare il Palazzo Berri-Meregalli rappresenta uno dei più evidenti esempi di architettura ecleticca d’Italia e d’Europa. Il palazzo è stato edificato tra il 1911 e il 1913 dall’architetto piacentino Giulio Ulisse Arata ed era una delle tre case commissionate dalla famiglia meneghina, le altre due sono la prima e la seconda casa Berri-Meregalli rispettivamente in Via Mozart 21 e in Via Barozzi 7.
Il Palazzo Berri-Meregalli è stato progettato unendo sapientemente diversi stili architettonici che vanno dal romanico al Liberty passando per il gotico.
Questo cortocircuito di forme e di periodi storici dà a questo edificio un’atmosfera misteriosa e indecifrabile: gli archi della facciata ricalcano perfettamente lo stile romanico ma accanto a questi ultimi alcuni gargoyle tipicamente gotici si affacciano dall’alto su Via dei Cappuccini. Il senso di macabro e di grottesco comunicato da questi mostri di pietra è mitigato però da alcuni mosaici in stile Liberty che li circondano. Quando la luce colpisce i tasselli dorati accanto a quelli dai colori accesi e brillanti la magia è completa.
Le meraviglie di questo edificio storico di Milano non sono tutte all’esterno, anzi. Il palazzo è ancora in uso come residenza privata al cui interno sono stati ricavati alcuni appartamenti di lusso, ma è possibile visitare l’atrio in cui la mescolanza di stili architettonici lascia ampio spazio al Liberty e infatti oltre alla meravigliosa pavimentazione dai toni accesi è possibile ammirare i mosaici e i soffitti di Angiolo D’Andrea e Adamo Rimoldi.
A conferire un ulteriore aura di magia a questa bellezza nascosta di Milano c’è la “Vittoria” di Adolfo Wildt, scultura in marmo con dorature progettata e scolpita tra il 1918 e il 1919 per celebrale la fine della prima guerra mondiale. Elena Pontiggia ha scritto di quest’opera: “[…] così Wildt, subito dopo la fine della guerra, rappresenta il tema millenario della Nike. Anziché identificarla con una creatura alata, secondo l’iconografia classica, la identifica solo con un volto e un’ala senza corpo, a simboleggiarne la dimensione spirituale, tutta risolta nella spinta ideale e nel grido”.
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