Geek
di Mattia Nesto 22 Ottobre 2021

L’importanza di Cowboy Bebop nelle nostre vite

Kaubōi Bibappu di Shin’ichirō Watanabe non ha solamente fatto la storia nell’animazione ma ha rappresentato un capitolo importante delle nostre stesse esistenze.

L’altro giorno stavo passando sulla passerella ciclo-pedonale di Melchiorre Gioia a Milano e, visto che il clima era ancora molto clemente, ero in mezze maniche. Il caso ha voluto che, quel pomeriggio, indossassi una maglietta di Cowboy Bebop, per altro contraddistinta da un colore quanto mai inopportuno. Tuttavia, nonostante il lilla sparato della t-shirt, qualcosa come, non scherzo, due ragazzi e tre ragazze mi hanno fermato e mi hanno fatto i complimenti per la scelta di outfit. Ora, al di là del fatto che non mi interessi proprio passare per arbiter elegantiarum, il dato interessante è ch,e a più di vent’anni dalla sua messa in onda, la serie animata di Shin’ichirō Watanabe è ancora sinonimo di stile, bellezza e figaggine.

Lo sbarco su Netflix, ne sono certo, non farà altro che aumentare la popolarità di una serie che, in oltre vent’anni, ha saputo raccogliere attorno a sé appassionati della prima come dell’ultima ora, venendo osannata da critici e esperti e amata, alla follia, da schiere di cosplayer o semplici appassionati. Allora mi sono chiesto: ok, va bene tutto ma perché Cowboy Bebop è  sinonimo di “serie figa” per eccellenza? Per rispondere ho fatto l’unica cosa saggia da farsi: andare a vedere in ogni possibile sito, forum su Reddit o thread di Pinterest dedicato a Faye Valentine no? Ehm, forse ho sbagliato a scrivere: facciamo che mi sono rivisto tutti e ventisei gli episodi della serie originale che è meglio!

Ecco, se c’è una roba che non è cambiata, letteralmente di una virgola, rispetto ai tempi in cui guardavo la serie durante l’MTV Anime Night (so che non ero il solo!) è la sensazione di avere davanti una serie pirotecnica, contraddistinta da uno stile unico nel suo genere e da un ritmo perfetto, che con sapienza riesce ad alternare sequenze adrenaliniche di combattimento con lunghi ma mai prolissi intermezzi dedicati a quello che si potrebbe benissimo definire come “lo spleen esistenziale” del protagonista, l’indimenticabile Spike Spiegel.

Tuttavia, al netto dell’ovvio fan-service di certi interpreti (quasi scontato per un prodotto di massa nipponico degli anni Novanta), praticamente ogni tipo di personaggio che si incontra in Cowboy Bebop, primi fra tutti i componenti della “ciurma”, è iconico, indimenticabile e incredibile. Proprio la cura nel delineare personaggi al tempo stesso realistici e grotteschi è la grande forza della squadra di lavoro di Cowboy Bebop. Ma i meriti della serie animata, i pregi diciamo così, non finiscono certamente qui. Non si può infatti parlare di Cowboy Bepop con cognizione di causa senza non solo menzionare ma porre al centro del discorso la figura di Yōko Kann, la compositrice delle musiche della serie. E che musiche.

Sarebbe, ovviamente, facile citare l’iconica Tank per rappresentare come le musiche in Cowboy Bebop siano la quintessenza di uno stile jazzy tutto groove e movimento, quasi funk nel suo incedere. Tuttavia la grandezze delle ost della serie animata sta, anche e soprattutto, nei suoi momenti più rilassati, anzi, proprio in quelli più tristi. Ascoltate, ad esempio, Green Bird, una delle tracce più amate dagli appassionati della serie. Siamo di fronte davvero a una grande opera d’arte che, sostenuto e coadiuvata da una scrittura ispirata e sempre coerente con lo spirito a metà strada tra l’adulto e lo scanzonato della serie, ha reso Cowboy Bebop quello che è: una di quelle cose che, sul serio, fa fermare la gente in strada.

Ed allora non posso fare altro, care amiche e amici, che fare quanto ho fatto con, praticamente, tutte le persone con cui ho avuto modo di dividere un pasto, passare una serata o anche intraprendere un viaggio in treno: vi consiglio di guardare Cowboy Bebop perché se forse non è vero che la bellezza ci salverà, quanto meno, ne sono sicuro, ci farà stare meglio. E Cowboy Bebop mi ha fatto sempre sentire meglio di quello che sono, anche con indosso una maglietta lilla con una scritta argento.

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