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di Mattia Nesto 25 Ottobre 2021

The Dark Pictures Anthology House of Ashes: missione compiuta

Il nuovo capitolo della saga dei Supermassive Games distribuita da Bandai Namco è il migliore della serie.

La formula è la stessa dei due precedenti capitoli ma migliorata, praticamente, in ogni suo aspetto principale e secondario. Si potrebbe riassumere così il mio fine settimana passato alle prese con The Dark Pictures Anthology House of Ashes, il nuovo titolo dei Supermassive Games, distribuito da Bandai Namco (che mi ha permesso di provarlo con dovuto anticipo), della serie, giustappunto, dei The Dark Pictures Anthology. Quest’antologia è un’operazione molto interessante nell’industria videoludica: una serie di storie, da vivere in prima persona, tenute insieme da un medesimo genere di appartenenza, l’horror, con elementi soprannaturali e cosmici dominate dall’inquietante figura demiurgica del Curatore. E sarà proprio il Curatore a darci il “benvenuto”, fra mille virgolette, in questa nuova avventura, questa volta ambientata in Iraq, nel 2003, proprio all’indomani della cosiddetta “missione compiuta” da Bush e compagni.

Beh le cose non andranno proprio così…  Beh le cose non andranno proprio così…

Rispetto a Man of Medan e Little Hope, il contesto è molto più importante: infatti i nostri protagonisti, chi più chi meno, faranno tutti parte dell’esercito, sia statunitense sia iracheno. Questo fatto è fondamentale per capire la prima, grande, differenza di House of Ashes, il ritmo. Rispetto agli altri due capitoli (in particolar modo Little Hope) qui l’azione parte a mille. Impersoniamo soldati, quindi donne e uomini dediti all’azione: non ci sono convenevoli ma soltanto possibilità di un approccio più muscolare oppure uno più diplomatico. Come spesso accade all’interno della serie The Dark Pictures Anthology potremo scegliere tra tutta una serie di bivi narrativi che ci porteranno a scoprire e approfondire la storia generale (con naturalmente diverse conseguenze, ora benigne ora maligne, sui nostri cinque protagonisti giocanti).

Ben presto l’abbacinante luce del deserto dell’Iraq verrà sostituita dalle ombre, profonde come tombe, di un misterioso sito archeologico che, nostro malgrado, saremo costretti a esplorare. Ecco che qui si presenta la seconda, grandissima, miglioria, del titolo, specialmente rispetto a Man of Medan, la logica delle scelte e degli approcci dei personaggi. Se infatti la “ciurma” di Man of Medan è stata, giustamente, spesso tacciata di superficialità nelle scelte, il gruppo di cinque militaria che controlleremo raramente si comporterà in modo anticlimatico: quasi ogni loro scelta (e quindi ogni “nostra” scelta) sarà un’attenta analisi dei costi e benefici di questa o quella opzione. Certo ci saranno momenti concitati, molto concitati di gioco in cui le relazioni che instaureremo con quel determinato personaggio saranno fondamentali per orientare le nostre scelte ma, grosso modo, la logica regna sovrana.

Chissà cosa ha visto questo marines. Di sicuro non andrà a finire bene  Chissà cosa ha visto questo marines. Di sicuro non andrà a finire bene

Un’altra grande, grandissima novità è la sensazione di tensione, un po’ claustrofobica, che ho vissuto addentrandomi, sempre più in profondità, nel sito archeologico sotterraneo. Grazie al sapiente utilizzo dei suoni ambientali (ho giocato con un buon paio di cuffie e la resa è stata ottima) e di ombre perfettamente proposte (ho optato per la formula grafica “performance” con i 60 fps bloccati ma a 30 il ray tracing fa miracoli) la sensazione di tensione è costante e si prova sul serio l’ansia di essere braccati da misteriose creature. Basta un nonnulla, magari una pietra che rotola in lontananza, per farvi saltare sulla sedia. Ho anche apprezzato il fatto che, rispetto alle discutibili scelte di Man of Medan, l’utilizzo dei jumpscare sia stato notevolmente ridotto.

I momenti morti sono praticamente azzerati e i piani temporali, tutti “al presente” non fanno altro che aumentare la sensazione di “avventura condivisa” da parte del giocare (cosa che, invece, non accade in Little Hope, con i continui “rimandi nel passato” che spezzavano la continuità narrativa). La possibilità infine, proprio come gli altri capitoli, di, se si gioca in più giocatori, impersonare solo e solamento uno dei pg a schermo aggiunge una soluzione in più: una serata tra amiche e amici a tutto spavento, cosa c’è di meglio ad Halloween?

Quanto mi è piaciuto illuminare con la torcia gli altorilievi, le statue e le suppellettili antiche…  Quanto mi è piaciuto illuminare con la torcia gli altorilievi, le statue e le suppellettili antiche…

In considerazione di tutto ciò House of Ashes è, davvero, un gran titolo, che presenta sì dei difetti, al di là dei limiti “strutturali” del genere, ma che è migliorativo in tutto rispetto agli altri capitoli della serie e che, grazie a delle backstory, finalmente, coinvolgenti, spingono il giocatore a voler vedere ogni tipo di finale possibile. Ah, mi stavo dimenticando, ovviamente la vostra avventura, se non sarete accorti (o se sarete particolarmente sadici) potrebbe concludersi molto prima dei titoli di coda. Parola del Curatore.

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