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Le foto attraverso la finestra di Giovanni Ambrosio

Particolare. © Giovanni Ambrosio

 

Giovanni Ambrosio è un fotografo italiano di 37 anni, che con la sua serie Biography/Threshold, immortala le finestre e tutto quello che accade al loro esterno, mediato dai riflessi dell’interno.

L’ispirazione, piuttosto particolare, gli è venuta grazie alla prima foto mai scattata, datata 1826 (e successivamente accidentalmente distrutta) dall’inventore francese Joseph Nicéphore Niépce, che ritraeva proprio il panorama visto da una finestra, come potete vedere qui sotto.

 

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Abbiamo intervistato Giovanni per conoscerlo un po’ meglio e saperne di più su questo progetto misterioso ed insieme molto terreno.

Dicci qualcosa su di te e sulla tua storia legata alla fotografia
Sono nato a Napoli ma dal 2001 vivo e  lavoro a Parigi. Dopo essermi formato in letteratura a Napoli, ho studiato prima cinema poi fotografia e arte contemporanea in Francia. La fotografia l’ho cominciata con Sergio De Benedittis a Napoli ma poi per anni l’ho messa da parte perché non mi convinceva la sua retorica tecnicicsta né la sua pretesa di dover raccontare qualcosa con il bianconerismo reportagistico (almeno io della foto avevo capito questo e quindi in fondo trovavo la letteratura più interessante). Poi dal 2010, dopo aver insegnato per qualche anno, ho ricominciato il mio percorso di ricerca e ho riscoperto nella fotografia una materia infinitamente rimodellabile e poco costosa. Meno costosa del neon per esempio. Direi che adesso è la mia materia principale, ma non l’unica. Sviluppo anche una serie di lavori a base di pittura minimalista nei quali poi interviene in ultima fase la fotografia per sedimentare tutte le materie nelle quali mi imbatto: carta, pittura, polvere, scarti, errori, liquidi, graffi.

Nella galleria qui sotto potete vedere un’ampia selezione dalla sua serie Biography/Threshold

 

 

Com’è nata l’idea di ispirarti alla prima fotografia mai scattata?
Alla fine del 2009 ho preso parte ad un progetto complesso iniziato da un altro artista italiano in Francia, Massimiliano Marraffa. Tra le varie cose c’era una piattaforma che pubblicava le foto scattate dalle finestre, chiunque poteva inviarle. Ciò mi ha dato modo di di riattivare la mia riflessione su questo archetipo della facoltà di vedere che era già molto presente nei miei vecchi lavori, proprio in un momento in cui cercavo di liberare la mia materia, la fotografia, dalla sua pretesa adesione al visibile e mi interessava conservare traccia del mio dover camminare e andare, per varie ragioni dell’esistenza, il che, ad un certo punto porta sempre a incontrare una finestra. Che per definizione è il punto di vista. Da qui Biography/Threshold. In questo protocollo, incontro una finestra e faccio una foto, ci sono appunto le radici della fotografia. La prima foto della storia è per me una finestra spalancata sul gesto del voler vedere, del voler essere. Sulla vis existendi.

 

© Giovanni Ambrosio

 

Qual è la vera funzione della finestra nelle tue foto?
Delimitare tre spazi: quello alle spalle di chi guarda, la soglia e lo spazio altro. Con una forma semplice, è capace di incarnare una infinità di cose, col suo essere una frattura e col suo segnalare un limite più o meno invalicabile. E di sedimentare una infinità di materie.

 

© Giovanni Ambrosio

 

Nelle tue foto sembra che tu sia interessato sia al panorama fuori dalla finestra, sia alla finestra stessa. Qual è il punto di fuoco del tuo lavoro?
La finestra è il paradigma della rappresentazione pittorica, non sono particolarmente interessato a quello che si vede dalla finestra (per lo meno non nel suo aspetto formale), ma non posso negare che esista. E in fondo questa contraddizione mi affascina particolarmente. La frattura si apre sempre sul visibile. Direi che il mio focus è sullo sforzo del guardare, sull’idea che esiste sempre un spazio altro, sull’accumularsi di questa materia che è il camminare che finisce sempre per incontrare una soglia. Mi interessa molto l’idea che il gesto biografico trovi la sua rappresentazione complessa: camminare, riconoscere soglie, definire ciò che è potenziale.

 

© Giovanni Ambrosio

 

Le tue fotografie sono apparentemente semplici, senza sovrastrutture né filtri. Ho letto che sono tutti scatti analogici. C’è per caso un messaggio subliminale nei confronti della spettacolarizzazione della fotografia contemporanea?
In realtà credo che queste fotografie siano piene di filtri. La finestra in sé è un filtro. E una fotografia è già una sovrastruttura. Solo alcune immagini vengono dalla fotografia analogica. Per qualche tempo ho usato una macchina analogica totalmente automatica e tascabile e oltre gli aspetti puramente pratici mi piaceva sfruttare la materia grezza e imperfetta che ne potevo ricavare. Ma poi si è rotta. Non c’è credo ci sia questo tipo di messaggio, piuttosto c’è una riflessione su cosa rappresenti l’uso della fotografia, che è uno strumento che non appartiene solo ed esclusivamente alla Fotografia.

 

© Giovanni Ambrosio

 

Hai comunque dei fotografi di riferimento per il tuo lavoro?
Apprezzo i lavori di moltissimi fotografi ma non penso di avere dei fotografi di riferimento. Pero’ posso dire che negli ultimi anni Lezioni di fotografia di Luigi Ghirri ha influenzato moltissimo la mia ricerca.

Simone Stefanini

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Simone Stefanini

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