La vicenda di un operaio di 59 anni, diagnosticato erroneamente con la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) nel 2000, ha riacceso il dibattito sull’importanza di una diagnosi accurata e tempestiva nelle malattie neurodegenerative.
Dopo anni di sofferenze, trattamenti inutili e un drammatico percorso psicologico, l’uomo ha scoperto solo successivamente di essere affetto da una condizione ben diversa e curabile, la mielopatia spondilogenetica, una forma di artrosi cervicale. Il caso si è concluso con una sentenza giudiziaria che ha riconosciuto la responsabilità dell’ASL e del medico, ma la tragedia è stata ormai compiuta.
Diagnosi errata e conseguenze drammatiche
Nel 2000, l’operaio residente a Cisterna di Latina cominciò a manifestare sintomi preoccupanti quali vertigini ricorrenti e difficoltà nella deambulazione. Dopo una serie di approfonditi accertamenti medici, gli fu comunicata la diagnosi di Sclerosi Laterale Amiotrofica, una malattia neurodegenerativa progressiva e incurabile che comporta un rapido deterioramento motorio e una prognosi infausta. Da quel momento, la vita dell’uomo si trasformò in un calvario fatto di terapie atte a rallentare il decorso neurologico, sofferenze fisiche e profonde crisi depressive. Per sei anni l’operaio si sottopose a trattamenti e controlli, convinto di convivere con una malattia senza speranza.
Solo quando decise di rivolgersi a un centro medico diverso, dotato di strumenti diagnostici più avanzati e di un approccio multidisciplinare, emerse una verità sconvolgente: non si trattava di SLA, bensì di mielopatia spondilogenetica, una patologia artrosica della colonna cervicale più comune e, soprattutto, gestibile con interventi specifici e riabilitativi. La scoperta tardiva della vera diagnosi non compensò però gli anni di sofferenza psicologica e fisica vissuti dall’uomo, che nel frattempo era andato in pensione e si trovava in uno stato di profonda prostrazione. La famiglia decise di intraprendere un’azione legale contro la ASL competente e il medico che aveva emesso la diagnosi errata di SLA.

Il Tribunale di Latina accolse il ricorso, riconoscendo la responsabilità dell’ente sanitario e del professionista per il danno morale subito dall’uomo e condannandoli a un risarcimento di 148mila euro, successivamente ridotti a 120mila euro in appello. La sentenza sottolinea l’importanza della precisione diagnostica, soprattutto in patologie gravi che hanno un impatto devastante sulla vita dei pazienti.
Nonostante il riconoscimento del danno e il risarcimento economico, la vicenda si è conclusa tragicamente. L’uomo, segnato dalla lunga battaglia con una malattia che non aveva in realtà, e dal senso di disperazione per la propria condizione, si è tolto la vita nel 2018. Il suicidio ha evidenziato le conseguenze spesso sottovalutate di un errore diagnostico: oltre alla sofferenza fisica, il disagio psicologico può diventare insostenibile. Questo caso ha riportato all’attenzione pubblica la necessità di un sistema sanitario più attento e scrupoloso nella diagnosi di malattie complesse e invalidanti.
Inoltre, mette in luce il ruolo cruciale del supporto psicologico e l’importanza di percorsi di assistenza adeguati per chi si trova ad affrontare condizioni invalidanti, anche quando la diagnosi è incerta o soggetta a revisione. Le istituzioni sanitarie sono chiamate a migliorare i protocolli diagnostici e a garantire un’assistenza integrata, che consideri non solo gli aspetti clinici ma anche quelli emotivi e sociali, per evitare drammi simili e tutelare la dignità e la qualità della vita dei pazienti.