La vicenda di Elia Del Grande, condannato per la cosiddetta “strage dei fornai” avvenuta il 7 gennaio 1998 a Cadrezzate, torna a far parlare di sé dopo la sua fuga dalla struttura protetta di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena.
Oggi 49enne, Del Grande è stato protagonista di una delle pagine più drammatiche del Varesotto, quando, a soli 22 anni, sterminò la propria famiglia con una serie di colpi di fucile. Dopo 25 anni di detenzione, era stato affidato a una misura di sicurezza in un centro di custodia protetta, da cui si è allontanato facendo perdere le sue tracce.
La fuga da Castelfranco Emilia e l’allarme delle autorità
Secondo quanto riportato da varie fonti, tra cui il quotidiano Il Resto del Carlino, Elia Del Grande si è dileguato giovedì sera, intorno alle 20, scavalcando il muro di cinta della struttura dove era stato collocato da settembre. La misura di sicurezza, disposta dal tribunale di Sorveglianza, aveva come obiettivo il contenimento di un soggetto ritenuto socialmente pericoloso, in attesa di una nuova valutazione psichiatrica dopo alcuni episodi preoccupanti registrati durante la libertà vigilata: furti e molestie nei confronti dei residenti locali.
Le ricerche si concentrano attualmente non solo in Emilia-Romagna, ma anche nel suo territorio d’origine, il Varesotto, e in Sardegna, dove Del Grande avrebbe potuto trovare un possibile rifugio. Non è la prima volta che Elia Del Grande riesce a sottrarsi alla giustizia. Nella notte stessa della strage dei fornai, dopo aver ucciso il padre Enea, la madre Alida e il fratello Enrico, fuggì verso la Svizzera, ma fu arrestato poco dopo grazie alla collaborazione fra le autorità italiane e quelle elvetiche.
Ammise subito le proprie responsabilità, ma durante la detenzione tentò più volte di evadere, come nel caso di un piano organizzato insieme alla compagna per fuggire in taxi dal carcere di Pavia, sventato all’ultimo momento. Questo tentativo gli costò una condanna aggiuntiva di otto mesi. La strage rimane una ferita aperta nella memoria collettiva della zona. Con sei colpi di fucile, due per ciascuna delle tre vittime, Del Grande mise fine alla vita dell’intera famiglia nella villetta di via Matteotti, che fungeva anche da sede del forno di famiglia. I soccorritori parlarono di un vero e proprio “lago di sangue”.

Fu proprio il fratello Enrico a contattare i carabinieri poco dopo le 3:30 del mattino, ma morì poco dopo in ospedale per le ferite riportate. Le indagini ricostruirono come movente un contrasto legato a una relazione sentimentale osteggiata dai genitori, ma Del Grande stesso dichiarò che quel fatto rappresentò solo la miccia che fece esplodere un rancore più profondo e radicato. Durante il processo emerse il profilo di un giovane segnato da un’infanzia travagliata, con una forte attrazione per la violenza e le armi.
Raccontò di aver accumulato centinaia di coltelli e di aver frequentato ambienti estremisti di matrice skinhead. Il tribunale di Varese lo condannò a tre ergastoli, poi ridotti in appello a trent’anni di reclusione grazie al riconoscimento della semi-infermità mentale. Dopo un quarto di secolo trascorso dietro le sbarre, Del Grande era stato ammesso alla libertà vigilata, ma i comportamenti problematici che ne seguirono hanno portato a un nuovo inasprimento delle misure restrittive.

