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Zelda Tears of the Kingdom: stranizza d’amuri

The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom si candida ad essere una pietra miliare nella storia dei videogiochi.

Ecco Zelda in Tears of the Kingdom

Esplorare l’Hyrule di The Legend of Zelda Tears of the Kingdom ti dà una sensazione al tempo stesso di meraviglia e di privilegio, oltre ad una puntina di rimpianto. La meraviglia è presto spiegata: Eiji Aonuma e soci hanno creato un open-world sand-box semplicemente maestoso, aggiungendo all’asse x e y di Breath of the Wild pure quello z, andando quindi sia verso l’alto, le isole celesti, sia verso il basso, i baratri della terra. Il privilegio invece che si insinua in noi è proprio quello che si ha quando si è davanti ad una grande opera, di qualsiasi media si stia parlando. L’avventura di Link, certamente più robusta rispetto a quella di BotW, rapisce e conquista, e la sua implementazione, praticamente perfetta, con il gameplay, libero anzi liberissimo, la rendono, giustappunto, una vera e propria pietra miliare. I poteri di Link, ammodernati per sfruttare al massimo gli elementi sulla mappa di gioco, rendono Hyrule un enorme parco giochi, dove poter sperimentare e creare. Non si arriva, forse, mai a diventare una specie di demi-god ma la sensazione di avere il “mondo fra le proprie mani” la si ha e pure in modo netto.

Tears of the Kingdom, un gioco di legami

Ma si diceva anche il rimpianto, giusto? Beh, qui la spiegazione è un attimo più complessa visto che si esplica tramite due linee di pensieri opposte. Da un lato, infatti, il rimpianto lo si ha per non per poter vivere “veramente” il mondo di gioco, tanto bello e poetico da instillarci in noi un sentimento di nostalgia per le cose perdute immediato. Ogni tanto, vi confesso, ho acceso il mio Nintendo Switch con Tears of the Kingdom solo per attraversare le varie terre, posizionarmi su di una collinetta dolce e lasciarmi incantare dalla brezza che colpiva il viso di Link, facendo frusciare l’erbetta tutto intorno.

L’atmosfera dell’intro di Tears of the Kingdom

Ma il rimpianto lo si ha anche, ahinoi, per un software di gioco, anzi per un engine, che pur “spingendo” l’hardware di Nintendo ne mette in mostra tutti i suoi limiti tecnici. Chiaro ed evidente, insomma, che la futura console di Nintendo non potrà, a mio avviso, esimersi da una versione “riveduta e corretta” di Tears of the Kingdom.

Al di là di questa considerazione e di alcuni poteri che si sfruttano meno di altri (vero reverto?), della constatazione di come la paravela sia “la” grande invenzione dei due Zelda e del fatto che il sottosuolo è molto meno stimolante di quello che poteva essere, Tears of the Kingdom è un elegia al videogioco, un titolo potentissimo che è già entrato di diritto nella storia e che, per come la vedo io, non può avere una votazione inferiore al 9.7. L’invito, perciò, è quello di entrare anche voi in quella che mi piace definire una “stranizza d’amuri” nei confronti di questo medium videoludico che ci appassiona tanto.

Mattia Nesto

Fa che la morte mia, Signor, la sia comò 'l score de un fiume in t'el mar grando

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Mattia Nesto

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