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HPL: è come un tegame di rame messo ad asciugare sotto il sole

Con HPL: Una vita di Lovecraft Marco Taddei e Maurizio Lacavalla realizzano una delle biografie più particolari del maestro dell’incubo.

Benvenuti in HPL: Una vita di Lovecraft

Parlare di HPL, al secolo H.P. Lovecraft, è un esercizio al tempo stesso sfidante e banale. Sfidale perché il creatore, tra le altre cose, del ciclo dei i miti di Cthulhu è uno personaggi più obliqui, bizzarri e particolari della Letteratura del Novecento (e non solo di quel secolo) ma anche qualcosa di un po’ scontato, visto che Lovecraft è costantemente in un numero esagerato di opere provenienti da media molto diversi gli uni dagli altri. Ecco perché occorreva una visione o se preferite “un taglio” per carpire l’essenza dell’autore. E Taddei e Lacavalla non hanno avuto certamente paura ad osare e, vi posso dire, hanno fatto proprio bene. In HPL: Una vita di Lovecraft, pubblicato da Edizioni BD, si parla l’autore statunitense non tanto con fare accademico quanto per suggestioni o, se preferite, per allucinazioni. Attraverso infatti tre capitoli che rappresentano altrettanti momenti della vita di Lovecraft, in buona sostanza, gioventù, età adulta e “vecchiaia”, si mettono in scena gli incubi della mente di Lovecraft, andando a trattare il rapporto con la madre, la zia e il padre in modo mai strettamente biografico, quanto, giustappunto, con “scatti” artistici.

Lo stile di HPL

Come potete vedere dalle mie foto, lo stile di HPL è basata su vignette poderose e rettangoli, in cui i disegni di Lacavalla, così spessi e neri, ben si sposano con il testo di Taddei, quasi sempre asciutto e, volutamente, onirico, in cui si gioca più sui non detti che sulle cose esplicite. E questa cosa è perfetta per trattare di un autore che ha scritto Il colore venuto dallo spazio. Qui l’orrore e l’incubo della vita viene nascosto sotto una patina di apparente normalità: un piatto di carne consumato nella cucina della madre, un pendolo della zia oppure una lettera scritta dal padre in punto di morte. Tutte, appunto, all’apparenza normali che però agli occhi di Lovecraft risultano spettri e evocazioni del mondo “sotto” o ancora per meglio dire “del mondo oltre la nostra percezione”, il mondo di Cthulhu e degli altri imperatori delle tenebre.

Il nero profondo di Lacavalla

In tal senso ci sono intere pagine senza neppure “una riga” di dialogo, in cui tutta la narrazione è affidata alla sapiente mano (o forse sarebbe meglio dire “agli insondabili neri”) di Lacavalla, che meglio di tutti ci fanno capire e in un certo senso provare l’angoscia dello scrittore di Providence. Poi ci pensa Marco Taddei a rincarare di dose, calibrando bene le citazioni dirette da Lovecraft ed altri tipi di inserti più personali, danzando sulla linea molto sottile tra vita privata e opera pubblica dell’autore che, ad un certo punto, si trova nella giungla di New York, dopo aver passato tutta una vita in una, tutto sommato città di provincia come Providence. Eppure, proprio lì, proprio “a casa sua”, è ambientato forse il momento più forte di questo libro quando, di ritorno da una conferenza, il nostro scrittore, alla fermata di un autobus che non passerà mai incontrerà, diciamo così, la rappresentazione fantasmatica di un “grande essere” o di quello che impareremo a chiamare tramite l’opera dello stesso Lovecraft.

Il volto di Lovecraft in HPL

L’indeterminatezza totale, la paura cosmica e il senso di essere davanti a qualcosa di alieno nato prima dei tempi: questi sono gli elementi portanti della poetica di Lovecraft, che qui vengono evocati con grande possanza dal combinato disposto del tratto estetico di Lacavalla e dalla scrittura di Taddei. Il mio consiglio è quello di, ancora prima di leggere i tre capitoli, di sfogliare le pagine del volume, per lasciarvi suggestionare da quei neri profondissimi che solo di tanto in tanto lasciano trasparire “qualche macchia” di bianco. Un po’ come nell’opera di Lovecraft, questi fili di verità cosmica, o forse di annichilimento totale proveniente dalle stelle, non potranno mai essere veramente carpite, ma la cosa importante è accorgersene, prenderne atto, riconoscere la loro specificità. Una questione di percezione, insomma, non una formalità. 

Mattia Nesto

Fa che la morte mia, Signor, la sia comò 'l score de un fiume in t'el mar grando

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