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Da “Ciaone” a “Bacissimi”, tutte le parole orrende del nostro tempo

“La colonnina di mercurio”

 

“Ciaone, bacissimi!” argh… maledetti, maledetti, voi e le vostre parole orrende! Perché luogo comune vuole che l’italiano sia una lingua meravigliosa, e in quel luogo comune c’è molto di vero. Il problema però sono gli italiani.

Sì, il problema siamo noi, e il nostro uso della lingua, che a volte crea mostri: i mostri sono le parole orrende che l’editor, poeta e scrittore Vincenzo Ostuni – qui il suo sito – raccoglie da anni: su Twitter cercate l’hashtag #ParoleOrrende, ci sono tutte, e da poco le #ParoleOrrende sono diventate per TIC Edizioni anche magnetiche.

Un grande lavoro fatto insieme su Twitter, grazie al contributo di chi ha seguito Vincenzo nella sua ricerca del brutto che ora si è trasformato in paroline piccole piccole che si attaccano a ogni superficie metallica – come quella del frigo per esempio – e permettono di comporre così orrendi poemi cut-up, fastidiosissimi sì, ma anche molto divertenti.

 

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A noi l’idea di Vincenzo Ostuni è piaciuta moltissimo, così lo abbiamo contattato per farci raccontare qualcosa di più su questa curiosa impresa editoriale, il cui ricavato andrà devoluto all’Accademia della Crusca.

Quali sono state le prime parole orrende che hai individuato?
È nato tutto durante una chiacchierata a Milano qualche anno fa – dove temo si generi il 99% delle parole orrende, ndr – quando abbiamo elencato le parole che ci facevano più ridere, che erano goffe, sgradevoli: per esempio il “piuttosto che” non utilizzato come avversativo, ma anche “insalatona”, “impattante”, “mutandine”, c’erano parole di tutti i tipi. E da lì è nata l’idea di fare un hashtag su Twitter, #ParoleOrrende che raccogliesse con l’aiuto di tutti questo genere di parole, che all’inizio erano solo singoli termini, poi sono arrivate le locuzioni, o i termini composti.

 

 

Le parole orrende sono in parte neologismi, frammenti di una lingua che cambia e prende nuove forme. Ma ce ne sono anche di storicamente orrende
Infatti, non sono solo neologismi: sono anche forme, anche parole che si usano da sempre, ma in contesti nuovi. Per esempio: molto nelle parole orrende ha a che fare con nuove forme di ipocrisia sociale, o di pseudocortesia, o mascheramento di rapporti di potere. Una parola orrenda che non è un neologismo per esempio è “sentiamoci”: da qualche tempo va di moda “sentiamoci” invece di dire “ti chiamo domani” “ci vediamo stasera”. Dire “sentiamoci” ha una doppia funzione: tiene nel vago i rapporti, evita la puntualità dell’impegno, e dall’altro lato di fatto è un modo apparentemente cortese ma in realtà prepotente di chiedere all’altra persona di contattarti. “Sentiamoci”: quindi chiamami tu. Ci sono tantissime forme di parole orrende.

 

“motorello”

 

Dovessi dire una delle mie preferite tra le parole orrende, direi “apericena”
L’apericena fa parte di quelle parole orrende che riguardano questioni di status. Ovvero: molto spesso parole che la piccola borghesia usa per attribuirsi un prestigio, o un’importanza, o un’apparenza superiore. L’apericena è un modo per chiamare un aperitivo rinforzato che è la forma di nutrimento di chi non ha i soldi per andare al ristorante. Termini apparentemente gradevoli – per quello che di fatto è uno spuntino, per quanto abbondante, di accompagnamento a un aperitivo – che sono un modo per darsi un prestigio in un momento di carenza collettiva, di difficoltà economiche. Apericena è abbastanza proverbiale. Poi c’è l’aperi- qualsiasi cosa.

Trovo sempre straordinario l’aperizumba, l’aperitivo al ritmo di zumba
Non c’è fine, il prefisso aperi- si può attaccare ovunque.

 

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Vedo che tra le parole orrende c’è molto aziendalese: la “exit strategy”, l’implementare… l’aziendalese è orrendo, ma perché è orrendo?
Sì, l’aziendalese è una delle grandi fonti di parole orrende. Ma non sono solo brutte in sé, perché nell’ambito dell’azienda le parole orrende sono utilizzate come strumento di dominio. Sono un segnale di prevaricazione nei confronti di chi non le conosce o utilizza. Si fa a gara a chi utilizza più aziendalese tra manager, capi, vicecapi… l’aziendalese è centrale nella nascita delle parole orrende. E del resto, aziendalese e burocratese sono grandi fonti di orrori: briffare, feedback, monitorare, schedulare, spesso sono anglismi quelli che diventano parole orrende.

Ce n’è una tua preferita tra queste parole orrende? 
Il “piuttosto che” usato male. Un’altra che mi fa tanto ridere è “di cui uno macchiato”, quando qualcuno è al bar. Oppure “piacerissimo”, o “anche no”, mentre “paradossalmente” ha avuto una stagione in cui era molto popolare, con una diffusione pandemica. Per fortuna ora sembra finita.

Gabriele Ferraresi

Lavoratore intellettuale salariato

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Gabriele Ferraresi

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