Musica
di Simone Stefanini 13 Settembre 2017

Che fine hanno fatto i bei video musicali degli anni ’90?

L’ultimo video dei Radiohead ci ha fatto tornare indietro a quando i video musicali cambiavano il costume e l’immaginario. Ecco che fine hanno fatto i loro registi

Facile diventare nostalgici con il video di Lift dei Radiohead diretto da Oscar Hudson, una out-take da OK Computer contenuta nell’edizione speciale OK Computer OKNOTOK 1997 2017, a cui è stato montata sopra una clip girata oggi. Facile sì, perché la musica era quella lì che ci piaceva così tanto, con le chitarre al posto giusto, la melodia che ti prende il cuore e lo fa percuotere da un lottatore di sumo, vestita con tutta l’inquietante bellezza di un video musicale come non se ne vedono più da anni.

Non siamo qui per parlare della solita retromania del cazzo, di musica bella ne esce ogni giorno, ma il potere del videoclip si è praticamente dissolto con la crisi del mercato discografico e delle tv musicali, lasciando un vuoto generazionale che solo sporadicamente viene colmato. I più fanatici tra i trentenni di oggi, conoscevano a memoria i nomi di Michel Gondry, Chris Cunningham, Spike Jonze, Anton Corbjin o Jonathan Glazer ben prima che diventassero famosi filmaker e registi.

Le loro visioni, spesso angoscianti, curiose o assurde, ci aprivano la mente come una zucca che vola dal sesto piano, e formavano anche in quelli che non avevano studiato granché, una cultura di base sul mezzo video. In soldoni: se guardando uno dei mille milioni di video del 2017, tutti uguali con le riprese del cantante di turno che canta in playback il tormentone, non s’impara niente, coi video d’arte realizzati per Bjork, Massive Attack, Radiohead o  Aphex Twins e svariati altri artisti, nasceva anche dentro i meno scolarizzati di noi, una curiosità che veniva appagata a ogni ora del giorno sui vari Videomusic, TMC2 o MTV. Non solo: quante volte ci siamo innamorati delle protagoniste dei video degli Aerosmith?

Videoarte, nuovi linguaggi, animazioni, effetti speciali più o meno amatoriali contribuivano allo straniamento e alla curiosità generale. Molti conoscevano i nomi di Bill Viola e Matthew Barney come fossero rockstar e seguivano l’arte contemporanea, il clip creava un ponte tra la cultura di nicchia e il pop. In breve: ci rendeva meno ignoranti e più aperti a ciò che non sapevamo, in un processo del tutto naturale, che passava per la tv.

I registi di videoclip di culto nei 90s, avevano tutti uno stile riconoscibile dalle prime scene. Spike Jonze per esempio, oggi ex marito di Sofia Coppola e regista coi controattributi (Essere John Malkovich, Nel paese delle creature selvagge e Her), usava spesso l’arma dell’ironia e del paradosso, come in Sabotage in cui trasforma i Beastie Boys in protagonisti di un poliziesco anni ’70, oppure quando fa entrare gli Weezer in una puntata di Happy Days per il video di Buddy Holly. Suo è anche il video del coreografo sfigato (interpretato dallo steso Jonze) di Praise You (Fatboy Slim) e del musical surreale It’s So Quiet di Bjork.

 

 

Diversa l’attitudine di Jonathan Glazer, il regista del film di culto Under The Skin con Scarlett Johansson aliena affamata di cane umana. La sua inquietudine già trasudava nel video in stile Shining di Karmacoma dei Massive Attack o in quello tutto ansia di Karma Police dei Radiohead. Sua la firma del clip più fantascientifico di Jamiroquai (Virtual Insanity) e del lentone à la Arancia Meccanica dei Blur (The Universal). Glazer ha poi firmato il mio video preferito di tutti i 90s, Rabbit in Your Headlight degli U.N.K.L.E.; ricordate il pazzo che attraversa un tunnel pieno di auto in transito, che poi riesce a far schiantare un camion sul suo corpo nel finale? Magia.

 

 

Di Chris Cunningham oggi si sono perse un po’ le tracce, ma il suo lavoro ha contribuito all’estetica di quel periodo in maniera notevole, grazie al sapiente uso degli effetti speciali e della sua mente del tutto deviata. Un video su tutti: Come to Daddy di Aphex Twin, con i bambini cloni e il mostro finale che spaventa la nonnina. Dio se faceva paura. Meravigliosi anche Come On My Selector di Squarepusher, una storia frammentata con il montaggio breakbeat e Windowlicker, sempre di Aphex Twin, con le modelle che recano la faccia terrificante del produttore britannico. Il suo lavoro più famoso è forse l’oscuro Frozen di Madonna. Di altra natura, etereo, fantascientifico e bellissimo, All Is Full Of Love di Bjork.

 

 

Alla italo-canadese Floria Sigismondi, oggi regista di serie tv come Daredevil o The Handmaid’s Tale, dobbiamo l’estetica post atomica, usata e abusata dei video di Marilyn Manson come The Beautiful People o Tourniquet, quelli che non potevi guardare se mamma era in casa.

 

 

Il francese Stephane Sednaoui, oggi famoso fotografo di moda, ha firmato i clip più fashion, che hanno rivoluzionato l’estetica, da Today degli Smashing Pumpkins a Give it Away dei Red Hot Chili Peppers passando per Mysterious Ways degli U2 o Fever di Madonna.

 

 

Anton Corbjin è il vero capostipite dell’arte nel videoclip. Ha girato tutti quelli belli dei Depeche Mode del periodo Music for the Masses – Violator – Songs of Faith & Devotion, ma anche pietre miliari come Heart Shaped Box dei Nirvana e ancora One degli U2, Johnny Cash, Nick Cave e altri grandissimi. Noto per il suo tocco dark, è il regista di Atmosphere dei Joy Division mica a caso. Ha girato anche il film Control sulla vita di Ian Curtis e Life, sull’amicizia tra James Dean e il fotografo Dennis Stock.

 

 

Pur non essendo uno dei nomi più famosi, a Samuel Bayer si deve il video più famoso degli anni 90. Parliamo di Smells Like Teen Spirit dei Nirvana, che è entrato nell’immaginario collettivo di tutti, ma proprio tutti, ed è riconoscibile fin dalla prima sequenza del piede che batte il tempo con le Converse All Stars. In seguito ha firmato il remake non proprio imperdibile di Nightmare.

 

 

Diverso il destino di Tarsem Singh, resgista di Losing My Religion dei REM, che ha poi girato The Cell, Biancaneve, Self/Less e ha dichiarato di voler girare il remake del film Westworld, da cui è stata creata anche la serie tv HBO.

 

 

L’onesto regista di videoclip Andy Morahan non sarà poi diventato un filmaker di successo, ma a lui si deve la trilogia Don’t Cry – Estranged – November Rain dei Guns’N’Roses, che mettevano in risalto tutta la fantasia malata di Axl Rose.

 

 

Stesso destino per Marty Callner, onesto lavoratore nel campo dei videoclip senza il quale non avremmo avuto la videografia anni 90 degli Aerosmith, con Liv Tyler e Alicia Silverstone a farci venire dei pruriti particolari, e quell’apoteosi di romanticismo (e di fighi) che è Always di Bon Jovi.

 

 

Last but sicuramente not least, il genio: Michel Gondry. Oggi conosciuto a livello internazionale per film come Eternal Sunshine of the Spotles Mind (non lo chiameremo mai col suo titolo italiano), L’arte del sogno o Be Kind Rewind, con la sua tecnica e la sua immaginazione sconfinata ha cambiato l’estetica dei video per sempre. Da Army of Me, Isobel, Hyperballad, Bachelorette e Jòga di Bjork a Everlong dei Foo Fighters e Around The World dei Daft Punk, fino ai video degli White Stripes, il suo modo di comporre un’immagine con oggetti surreali, cambiando dimensioni e dando ritmo alle sequenze è inimitabile.

 

 

 

 

 

 

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