Oltre 1.300 cerchi perfettamente tracciati sul fondale del Mediterraneo, a circa 650 km dalle coste della Spagna, precisamente al largo della Corsica. Queste strutture enigmatiche, di circa 20 metri di diametro, sono state oggetto di dibattito e speculazioni per anni, fino a quando una nuova ricerca condotta da Laurent Ballesta ha finalmente gettato luce sulla loro origine e sulla necessità urgente di proteggerle.
La scoperta iniziale risale a una spedizione scientifica guidata dalla biologa Christine Pergent-Martini e dall’oceanografo Gérard Pergent, il cui obiettivo principale era mappare i fondali marini della regione. Utilizzando sofisticati strumenti di sonar, il team ha rivelato una serie di strutture circolari distribuite su un’area di circa 15 chilometri quadrati. La presenza di una macchia scura all’interno di questi cerchi ha ulteriormente accresciuto il mistero, creando domande su cosa potesse nascondere e quale fosse il suo significato.
L’analisi dettagliata degli anelli
Nonostante il clamore suscitato dalla scoperta, la comunità scientifica dell’epoca non disponeva degli strumenti necessari per spiegare il fenomeno. Le ipotesi formulate, sebbene intriganti, non hanno mai fornito risposte definitive. Questo ha portato a un lungo periodo di inattività nella ricerca, fino a quando nel 2020 un nuovo team, sotto la guida di Laurent Ballesta, ha deciso di intraprendere un’analisi più dettagliata degli anelli. Ballesta, noto per il suo lavoro in ecosistemi estremi, ha condotto immersioni a una profondità di 120 metri, scoprendo che gli anelli non erano semplici strutture geologiche, ma piuttosto composti da alghe calcaree rosse e rodoliti corallini.

Le analisi condotte sui campioni prelevati hanno rivelato informazioni sorprendenti. Attraverso la datazione al carbonio, i ricercatori sono riusciti a stabilire che gli anelli si sono formati circa 21.000 anni fa, durante l’ultima glaciazione massima. In quel periodo, i livelli del mare erano significativamente più bassi e queste strutture si trovavano più vicino alla superficie, esposte alla luce del sole e in grado di sostenere la crescita di alghe coralline.
Questa scoperta non è solo di interesse storico, ma offre anche uno sguardo diretto sugli effetti ecologici dei cambiamenti climatici su larga scala. Gli anelli rappresentano un archivio ecologico dell’ultima era glaciale, permettendo ai ricercatori di comprendere meglio come gli ecosistemi marini rispondano a condizioni estreme e come possano adattarsi nel tempo. In un contesto di crescente attenzione verso il riscaldamento globale, queste strutture offrono un’opportunità unica per studiare la successione ecologica in ambienti marini che hanno subito cambiamenti significativi.
Tuttavia, nonostante la loro importanza ecologica e storica, gran parte di questi anelli rimane senza protezione. La loro posizione, situata appena sotto le rotte commerciali di navigazione, li espone a rischi significativi. Le ancore delle grandi navi, utilizzate per l’ormeggio, possono facilmente danneggiare un ecosistema che ha impiegato millenni a svilupparsi. È fondamentale che la comunità scientifica e le autorità competenti prendano misure per proteggere queste strutture, garantendo che non vengano distrutte a causa dell’attività umana.
La salvaguardia di questi anelli giganti non è solo una questione di preservare un sito storico, ma è anche cruciale per la conservazione della biodiversità marina. Comprendere le dinamiche ecologiche che si svolgono in questi habitat può fornire informazioni vitali per la gestione sostenibile delle risorse marine e per affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici. La ricerca continua su queste strutture potrebbe rivelare ulteriori segreti sul passato della Terra e sulle trasformazioni che il nostro pianeta ha subito nel corso delle ere geologiche.