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Mario Adinolfi è stato bannato da Facebook per un mese, ma non chiamatela censura

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Mario Adinolfi, il giornalista-politico-giocatore di poker (una citazione sempre bella da Wikipedia) è stato sospeso per un mese da Facebook dopo una valanga di segnalazioni, compresa la mia, che lo ha travolto dopo la pubblicazione di un post di commento alla vicenda intima di Dj Fabo (Fabiano Antonini), il 40enne che dopo un incidente stradale che l’ha reso tetraplegico e cieco, ha deciso di porre fine alle sue sofferenze in una clinica Svizzera, Stato in cui l’eutanasia è legale.

Una vicenda del tutto personale che, condivisibile o meno, riapre il dibattito sull’opportunità di una legge che regoli il fine vita, in modo che sia la persona a decidere sul destino del proprio corpo e non un cavillo burocratico, l’ospedale, i parenti o la chiesa.

A questo proposito, ieri Facebook è diventato un campo minato di commenti in cui ognuno diceva la propria sull’argomento, spesso a sproposito. Mario Adinolfi si è lasciato scappare l’occasione di tacere e di fare una figura signorile, in virtù dei suoi sani principi che lo obbligano volta per volta a condannare gli omosessuali, a caldeggiare la sottomissione della donna nei confronti dell’uomo, a offendere il meridione d’Italia e anche a farsi carico del peso di una posizione estrema nei confronti dell’eutanasia, all’indomani della morte di un essere umano.

Questo il post incriminato:

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Un post indecente che non mostra un minimo di empatia per la sofferenza di un essere umano, paragonato a un disabile nella camera a gas di un campo di concentramento e non a un malato terminale con un diritto di scelta. Stavolta Facebook si è attivato subito per bandire il leader del Popolo della Famiglia per un mese dal social, durante il quale non potrà scrivere o rispondere ai messaggi privati.

La moglie Silvia Pardolesi ha giudicato censurante il ban imposto dal social al marito, dimostrando che Dio li fa e poi l’accoppia. Evidentemente, entrambi credono che l’essere cattolici dia diritto a sparare ogni tipo di sentenza, fregandosene del tatto, della sensibilità nei confronti di una tragedia e affrontando la questione solo per creare polemica.

Una serie di commenti che perde di vista un fatto incontrovertibile: il silenzio è il dono più grande che ha a disposizione quello che sta per sparare una cazzata. Non c’è bisogno di usare ogni mezzo per dividere l’opinione pubblica e far parlare di sé. Pensiamo sia profondamente sbagliato tentare di mettersi nella testa di un essere umano che a causa di un incidente, si trova dal giorno alla notte costretto in un corpo che non funziona più, con la scienza medica che non offre soluzioni a riguardo se non quella di prolungare lo stato delle cose il più possibile.

Questa è una reale tragedia e ognuno deve avere il diritto di poterla affrontare come meglio crede, senza che  alcuni politici di dubbi valori vengano a fare la morale per prendere i like. L’offesa a un malato terminale è un gesto talmente grave da non sapere neanche commentarlo con un linguaggio consono. Sarebbe stato certamente più consono se la moglie di Adinolfi avesse chiesto scusa a nome del marito per il post osceno, prima di tutto a Fabiano Antonini, poi alla sua ragazza, alla famiglia e agli amici che si sono stretti a lui nella decisione più importante.

Per non farci mancare niente, in giornata di ieri è arrivato anche il commento di Matteo Salvini, che oggi parla di eutanasia come scelta libera e caldeggia una legge dopo essersi mostrato sempre contrario al fine vita e aver ostacolato ogni proposta di legge in merito. Il silenzio, in questi casi, è davvero sottovalutato.

 

Simone Stefanini

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Simone Stefanini

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