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Ho provato Sarahah, l’app dei messaggi anonimi e non sono stato bullizzato

E se aveste ragione entrambi?

 

“L’uomo è poco se stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera e vi dirà la verità” Oscar Wilde

Dev’essere questo, il principio che ci affascina tanto di Sarahah, l’app del momento. È stata sviluppata in Arabia Saudita e il suo nome significa Onestà, sempre per il discorso di cui sopra: è infatti un’app che permette di inviare agli iscritti, messaggi in forma del tutto anonima e non rintracciabile in alcun modo, senza possibilità di replica.

È nata per permettere ai dipendenti di inviare messaggi anonimi ai propri datori di lavoro, ma presto ha spopolato tra gli adolescenti, che finalmente hanno, in digitale, il corrispondente dei bigliettini trovati dentro il casco del motorino o sotto il banco, quei “Mi piaci” o “Mi fai schifo” che poi ci stavamo dei mesi a capire chi fosse stato il mittente, girando dei film in testa che nemmeno Coppola.

L’anonimato garantisce la massima sincerità di comunicazione e il fatto che sia a senso unico, che il testo lo possa vedere solo l’interessato, che a sua volta non ha possibilità di rispondere, rende il tutto definitivo. Su quest’ultimo punto, in realtà non va proprio così: tutti i messaggi lasciati sono condivisibili via social, quindi gli anonimi soggetti possono anche fare domande, senza il rischio di essere scoperti, e attendere la risposta su Facebook. Da una messaggeria asociale a un contenuto social, il passo è breve.

A questo punto, penserete che, essendo messaggi anonimi, siano quasi tutti illegali: offese irripetibili, richieste pornografiche, minacce di morte cruenta e tutte quelle altre forme di maleducazione tipiche dei social. Niente di tutto questo. Secondo esperienze di vario genere risulta che le umiliazioni, in forma anonima, non tirino per niente.

 

 

 

Personalmente, non per vantarmi ma negli anni mi avete offeso nei peggiori modi possibili, sottoscrivendo il vostro pensiero tramite nome, avatar del social e informazioni disparate. Non potevo non cogliere l’occasione per vedere cosa succede quando potete dirmi tutto quello che pensate, senza essere riconosciuti. Ho immaginato un’apocalisse di offese fisiche, personali, descrizioni poco dignitose della mamma, un milione di sinonimi su quanto sia scarso sul lavoro e altre amenità che avrebbero reso la mia vita un inferno e nello stesso tempo mi avrebbero trasformato in una specie di Sherlock che deve decifrare solo dal modo di scrivere, il mittente delle infamanti ingiurie. Insomma, quando ricapita di poter offendere qualcuno senza essere querelati? Invece niente, una grande delusione, ma anche uno spunto di riflessione: anche il bullismo ha i suoi dogmi e su Sarahah non sono rispettati.

Il bullo deve essere assolutamente riconoscibile quando fa il bullo, altrimenti che bullo è? La sua azione violenta ha il fine di umiliare il perdente solo per far crescere per se stesso l’apprezzamento della gente, oppure per chiamare la gente a sé e fare azione comune contro il perdente. Il fine ultimo, quello di diventare capopopolo. Su Sarahah questa dinamica viene interrotta e non è interessante mandare affanculo qualcuno con una frase cinica, se nessun altro può mettere il like. Non interessa distruggere o minacciare una persona se poi non ci sono gli altri che ci danno manforte, come accade giornalmente su Facebook. Se l’offesa la legge solo la persona in questione, non vale.

Quindi, per adesso, qualche apprezzamento, qualche critica, qualche battuta ma sempre rimanendo nei canoni del saper stare al mondo. Nessun terrorismo psicologico o frase che non diresti neanche al tuo peggior nemico. Se alla fine l’anonimato, la maschera che diceva sopra Oscar Wilde, rivelasse che in realtà siamo più buoni di quanto ci piace mostrare su Facebook?

Il mio account Sarahah è questo, ditemi pure cosa ne pensate.

 

Mi scuso a nome mio.

 

Simone Stefanini

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Simone Stefanini

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