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Anche io voglio un Tampon box nel bagno della mia università

Da sempre, quando arriva il mio momento di cambiare l’assorbente, prendo dalla tasca dello zaino l’oggetto in questione e lo comincio a sbandierare lungo il tragitto verso il bagno. L’operazione mi viene più facile quando mi gira storto e devo prendermela con qualcuno: allora lo sfoggio dell’assorbente diventa un pretesto per guardare male la gente.

L’ultima volta che ho ostentato il mio assorbente prima di approdare fiera in bagno, era al Royal Conservatoire of Scotland di Glasgow, in Scozia, un Paese che a quanto pare sta avanti in termini di paragone: per le studentesse scozzesi, fino all’università, gli assorbenti e altri prodotti sanitari femminili di prima necessità sono gratuiti.

Nel bagno di Glasgow, poggiata sul lavandino, c’era una scatola con su scritto a caratteri cubitali “FREE PERIODS” con dentro assorbenti di tutti tipi e di tutti i colori, da quelli interni ai classici o in cotone. Notai subito il mio stupore e quello delle mie amiche, cui avevo istantaneamente inviato via Whatsapp la foto della scatola con gli assorbenti. La mia reazione e quella delle mie amiche, però, mi fece ragionare sul fatto che in Italia non si sia mosso granché. Per quanto fossi potenzialmente non aggiornata, la verità è che di Tampon Box in Italia io non ne avevo mai visti.

 

 

Tutti abbiamo sentito parlare della tampon tax – cioè l’imposta sul valore aggiuntivo (IVA) – applicata su assorbenti e coppette mestruali che in Italia passerà dal 22% al 5% per gli assorbenti compostabili o lavabili. È vero anche, però, che una scelta del genere “sembra più dettata da valutazioni ambientali e di sostenibilità che diretta a eliminare una disparità di genere”.[fonte: Internazionale].

 

È vero che di iniziative per contrastare la period poverty in Italia ce ne sono state, come il recente caso del liceo Carlo Porta di Erba (Como) che ha messo a disposizione delle sue studentesse un Tampon Box o come la mobilitazione delle studentesse del Collettivo+ dell’Università degli studi di Salerno, o l’esperienza delle studentesse di Bari. È vero anche, però, che queste esperienze rimangono circoscritte e non vengono assolutamente valorizzate. Si tratta di iniziative di cui troppo poco si è parlato e che non hanno dato il via a un vero e proprio movimento in Italia.

 

 

Sarebbe bello un giorno poter leggere che l’Italia rende gratuiti i prodotti sanitari femminili, come si legge oggi per la Scozia, oppure accontentarsi del 3% di iva sui prodotti igienici femminili come accade in Lussemburgo. Sarebbe bello, ma la realtà è che di strada ce ne è ancora molta da fare.

Certo, se la questione della tassazione degli assorbenti è una battaglia politica e culturale, dovremmo cominciare concretamente a combattere partendo, come sempre, da noi stesse e da quello che facciamo ogni giorno. Non nascondendo gli assorbenti come fossero un oggetto malefico di cui vergognarsi, per esempio.

Oppure potremmo cominciare a piazzare nei bagni delle nostre università o dei nostri uffici Tampon Box a non finire, così, per fare rumore e per fare chiarezza sul fatto che avere il ciclo non è una scelta. Gli assorbenti sono beni di prima necessità per le donne e in Canada, in alcuni stati degli Stati Uniti, in India, in Kenya, lo hanno capito. Dovremmo cominciare a capirlo anche noi e i Tampon Box sono un gesto irruente ed efficace per sensibilizzare sulla questione.

Claudia Mazziotta

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