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Non commentare un fatto di attualità sui social è sempre una conquista

Ci sono momenti in cui una notizia di qualsiasi tipo si trasforma in un pezzo di carne buttato nella vasca dei piranha: viene condivisa, assalita e smembrata fino a diventare niente. Che sia la liberazione di un ostaggio che torna a casa coi panni di moda in Islam, il distanziamento delle persone che fanno aperitivo sui Navigli, il plasma che cura gl’infetti, Bill Gates mariuolo che crea il virus per dare a tutti il vaccino coi microchip dentro, il 5G che ci rende androidi, non importa.

Che la notizia sia vera o falsa non importa, che sia riportata faziosamente o il più aderente alla realtà dei fatti, neanche. L’unica cosa che conta è esprimere la propria opinione sui social, così da mostrare a tutti di essere sul pezzo, che i giornalisti potremmo farli anche noi, che non ci vuole niente a dire la propria sulle cose, che siamo schierati con l’una o l’altra squadra e, in ogni caso, saremmo stati più bravi dell’allenatore.

 

Questo processo di solito porta gli italiani a dividersi in due fazioni. Nel caso della liberazione di un ostaggio, ad esempio, ci si può dividere fra quelli “Poteva stare a casa, chissà quanto c’è costata” e quelli “Oh, sentito cosa dicono quelli? Che poteva stare a casa e quanto c’è costata. Che imbecilli, io sono felice come quando nacque la mia primogenita”. Solo una piccola parte sposa l’opzione “sta povera crista torna in Italia e la prima cosa che vede è Di Maio con la mascherina coi colori della bandiera italiana”, ma sono numeri irrisori, il duello sta da un’altra parte.

I primi, incarogniti da una vita che ha negato loro ogni gioia, sono pronti a vomitare bile su tutto, utilizzando la formula del sentito dire come fonte verificata, sparando cifre a caso sulla cifra del riscatto, offendendo e arrivando alla brutalità. I secondi, col complesso di sentirsi migliori, citano i primi, condividono i loro sproloqui per dare contro, recapitando quelle ingiurie a chi ha dedicato una vita per scegliere minuziosamente la propria bolla, proprio per non entrare in contatto con quelli che fanno venire il nervoso.

Quindi siamo tutti uguali? Proprio no. Fatto salvo che ognuno ha diritto di esprimere la propria opinione e che ognuno avrebbe il dovere di rispondere dei propri comportamenti a norma di legge, sarebbe incredibilmente bello se la prigionia della quarantena ci insegnasse l’empatia, la compassione, servisse a farci tornare persone più attente a ciò che dicono e che fanno, coscienti del fatto che ogni giorno, un colpo di vento può portare via tutto. Niente. Più incattiviti di prima, pronti a commentare tutto, diventando volta per volta virologi, esperti di diritto, economisti, giuristi, esperti di borsa, fotografi col teleobiettivo, agenti della CIA, negoziatori e dottori, ma da casa.

 

Pensare che, nel dubbio, basterebbe astenersi dal condividere col mondo la propria opinione, tornando a confinarla alla dimensione familiare (parenti fino al sesto grado) e amicale, al limite accollandola al barista di turno, senza renderla manifesta a troppi sconosciuti. Non è un gran periodo per i media e l’informazione in generale, che invece di tranquillizzare e contribuire a rendere il mondo meno teso, rincorre gli estremismi, provoca, terrorizza e diffonde notizie spesso non del tutto vere, quindi anche il più esperto dei debunker potrebbe cadere nella trappola di insegnare agli altri come vivere, per poi pestare una merda.

L’invito, che rivolgiamo a tutti, noi compresi, è quello di ripulire la testa come se fosse un bosco pieno di spazzatura, evitando di credere di avere la verità in tasca e che la supposta verità valga qualcosa, vista la caducità intrinseca dell’essere umano che questo virus ci ha ricordato obbligatoriamente. Una notizia fa arrabbiare? Cerchiamone una che ci faccia star bene e condividiamo quella, oppure, utopia, non condividiamola affatto, godiamone sul posto e passiamo oltre. Ci sono vari modi per uscire da questa pandemia migliorati e non possiamo certo dirveli noi, ognuno ha quello più adatto a sé. Di una cosa siamo piuttosto certi: non passeranno dalla guerra civile digitale, né dalla condivisione di cattiverie sui social, né dalla condivisione di cattiverie sulle cattiverie degli altri sui social.

 

Simone Stefanini

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Simone Stefanini

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