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Il presentismo: ecco perché le persone vanno a lavorare anche quando sono malate

Oggi proprio no

 

Il mondo del lavoro è un percorso a ostacoli: devi prestare attenzione a quello che posti su Facebook prima di un colloquio e quando finalmente trovi un impiego ti devi sudare ogni centimetro di spazio sulla scrivania e cercare di non farti licenziare. Purtroppo, a volte si rinuncia a cose troppo importanti, come la salute, per paura di fare brutta figura con i colleghi di ufficio o – ancora peggio – con il proprio capo.

Uno studio ha esplorato i motivi che spingerebbero le persone a stare sul posto di lavoro anche quando hanno problemi di salute. Insomma, l’assenteismo ha una controparte che si chiama presentismo. Le correlazioni più forti si manifesterebbero in caso di lavoro precario, difficoltà economiche personali e ritmi forsennati. Al contrario, quando si lavora in un ambiente collaborativo e più aperto prevale una mentalità più rispettosa della condizioni di salute. In poche parole, quando stai male forse è meglio se rimani a casa.

Sembra la scoperta dell’acqua calda, ma dietro il presentismo si cela qualcosa di più che un semplice lezione di buon senso. Gary Johns, uno dei responsabili della ricerca e professore di management alla John Molson School of Business, aveva spiegato tempo fa che “stimare il costo dell’assenteismo è un calcolo più tangibile che valutare l’impatto del presentismo. Tuttavia, l’assenza o la presenza di un lavoratore in malattia hanno entrambe costi e benefici per la collettività.

Nelle situazioni più estreme, il presentismo potrebbe causare seri problemi di salute nel lavoratore e nei suoi colleghi (pensate al contagio in ufficio), ridurre la produttività, peggiorare la qualità del lavoro e danneggiare l’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata. Morale della favola: imbottirsi di farmaci e presentarsi in ufficio con 39 di febbre può essere una pessima scelta.

 

Stay human, Fantozzi

 

In Italia si parla spesso dell’inefficienza della pubblica amministrazione e del fatto che l’eccessivo assenteismo di chi non ha voglia di lavorare renda la vita impossibile a chi, invece, va in ufficio tutti i giorni. Alcuni dati sostengono che tagliare il tasso di assenze del settore pubblico – portandolo a quello, più basso, del settore privato – porterebbe a un risparmio di 3.7 miliardi di euro. Bene, un risparmio rispetto a cosa?

Non basta costringere le persone a stare di più al lavoro per tagliare gli sprechi. Serve un approccio diverso alla gestione del carico di lavoro. Ma quale? La risposta forse ce l’ha Mariella Miraglia, ricercatrice alla Norwich Business School che ha contribuito alla ricerca sul comportamento dei lavoratori presentisti, basandosi sull’analisi di 61 studi precedenti su più di 175.960 partecipanti.

Per come la pensa Miraglia, “le organizzazioni possono trarre beneficio da attività di lavoro progettate in modo da limitare il carico di impegni a cui i dipendenti sono esposti ogni giorno.” Per esempio, “riducendo pressioni e lavoro fuori orario, facendo in modo che i lavoratori abbiano a disposizione le risorse di cui hanno bisogno.

Per stare al passo con i tempi, qualcuno direbbe che c’è bisogno di più smart job e di più flessibilità. Il punto è che basta ricordarsi di essere umani.

Lorenzo Mannella

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