C’è una canzone di Guccini che dice “Settembre è il mese dei ripensamenti, sugli anni e sull’età” e lo stacco delle ferie serve a ragionare molto sul senso di quello che si sta facendo sul lavoro (oltre che sul senso della vita in generale). A cosa serve DAVVERO il mio lavoro? Perché e per chi lo faccio? Fino all’ontologico, di solito dopo un po’ di birrette, “ma a cosa serve, se serve, il graphic design? e se esiste, il buon graphic design, com’è?”
Dev’essere nato da un sentimento del genere il nuovo lavoro di Kenji Nakayama e Christopher Hope, tra Boston e Cambridge (in Massachusetts), dal nome molto didascalico di the Signs for the Homeless project. In pratica viene proposto ai vari senzatetto di poter ridisegnare i vari cartelli con cui chiedono denaro o aiuto o anche solo riassumono la loro visione del mondo, il tutto poi ridisegnato in maniera molto hipster molto vintage molto colorata e -nelle intenzioni- molto catchy (o almeno questo è quello che il progetto, tra le altre cose, vuole indagare).
Funziona?
“è molto difficile capirlo – sostengono Kenji e Christopher – ogni homeless ha una reazione/approccio alla faccenda molto molto personale: alcuni i cartelli li custodiscono gelosamente, altri li perdono dopo averli usati alcuni giorni, alcuni addirittura nemmeno li hanno usati mai”.
Anyway, il risultato complessivo sembra tutto sommato interessante: tanto più che in cambio di un’intervista più foto, i senzatetto ci guadagnano uno sciccoso cartello nuovo e una piccola donazione di 20$.
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