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I tedeschi sono stati il popolo più felice della Terra e per questo li invidio

Qual è l’evento degli ultimi tre decenni che dovrebbe renderci felici di essere italiani?
Non parlo di orgoglio, di onore, di amor patrio (aggiungete pure altri termini altisonanti pescati dall’apposita urna che trovate all’ingresso), parlo di felicità.

Sono nato nel 1982 e non ho memoria di un solo momento in cui mi sia potuto sentire contento in quanto parte di una collettività. I primi ricordi che ho di storia italiana sono gli arresti di Tangentopoli, con conseguente messa in stato di accusa di un’intera classe dirigente e di mezzo secolo scarso di storia politica repubblicana. In un colpo solo scoprivo non solo che i vertici del mio paese erano da buttare, ma che tutto era marcio da decenni. Da lì, tutta una parata di eventi e fatti che, nella migliore delle ipotesi, mi hanno deluso e nella peggiore mi hanno fatto vergognare, rendendo l’ipotesi della felicità qualcosa di utopico.

Non è una sparata a vuoto, è una cosa pensata, ponderata. Mi sono impegnato, ma davvero non ho trovato un giorno in cui mi sono detto che sì, pur tra mille problemi e difetti, ero felice di essere italiano.

Ecco perché invidio i tedeschi. Non per la loro economia o la loro efficienza. Anche per quello intendiamoci, ma in misura minore. Io invidio i tedeschi della mia età perché, seppur da bambini, hanno avuto un momento in cui si sono sentiti parte di qualcosa e hanno avvertito che tutto stava cambiando in positivo. Mi riferisco ovviamente alla caduta del Muro di Berlino, a quelle giornata di 25 anni fa in cui tutto è tornato al proprio posto e chiunque si è sentito parte di un sentimento più grande e condiviso. Un momento in cui sono stati felici insieme, anzi: in cui sono stati – semplicemente – il popolo più felice della terra.

Non sono pazzo: mi accontenterei di qualcosa di meno, di estremamente più piccolo.
Qualcosa che possa compensare almeno in parte tutto il brutto che ho visto in 32 anni.
Nel frattempo, non posso che continuare a invidiarli e a sperare che l’Europa diventi qualcosa in grado di toccarci anche a livello emotivo.

p.s. No, la vittoria di un mondiale di calcio non può e non deve rientrare in questo discorso.

Marco Villa

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