Bullismo a Vigevano: non chiamatela baby gang, è criminalità minorile

 

Oggi, su tutti i giornali si parla dei ragazzi di un’età compresa tra i 13 e i 16 anni che devono rispondere di concorso in violenza sessuale, riduzione e mantenimento in schiavitù, pornografia minorile e violenza privata ai danni di un ragazzo di 15 anni, seviziato in ogni modo senza motivo.

A Vigevano, tra un treno danneggiato e un altro, questo branco perseguitava i propri compagni più sensibili o più deboli, che venivano ripresi durante le umiliazioni. Successivamente le foto e i video dei reati venivano condivisi su tutti i social e i servizi di messaggeri istantanea possibili: Whatsapp, Twitter, Facebook, Telegram, Instagram e Imessage.

Tra gli atti più terrificanti, i ragazzi hanno costretto la loro vittima a bere alcol e a girare per la città legato a una catena come un cane. Quest’ultimo è stato anche  spogliato e tenuto a testa in giù da un ponte mentre gli praticavano degli abusi sessuali.

Il branco sembra sia formato da ragazzi di buona famiglia. Quando i carabinieri sono andati a prelevarli, sembra siano rimasti stupiti, del tutto incoscienti che ciò che hanno commesso per mesi sia imputabile come reato.

 

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Di fronte a una tale barbarie, reiterata, lucida e spietata, viene da chiedersi perché i mezzi d’informazione utilizzino la dicitura baby gang, che in qualche modo minimizza l’operato criminale di questi individui.

Tenete presente che per la gravità degli atti commessi, quattro minorenni sono stati rinchiusi nel carcere minorile Cesare Beccaria di Milano, mentre per il 13enne che non è imputabile si stanno discutendo misure cautelari vista la pericolosità sociale.

Niente baby gang, definizione che in qualche modo addolcisce la pillola, qui si parla di vera delinquenza, commessa con l’aggravante della mancanza di motivazione. Violenza per violenza.

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Il bullismo è una piaga sociale e chi lo subisce ne paga le conseguenze per sempre, non è mai un reato da prendere alla leggera. Coinvolge tutte le sfere importanti della vita di un ragazzo: avviene a scuola, tra le cosiddette amicizie, mette in mezzo la famiglia, alla quale troppo spesso viene nascosto per vergogna e per paura di ritorsioni.

Dovremmo smetterla, anche con le parole, di addossare la colpa volta per volta ai social o alla tecnologia, giacché non ci verrebbe mai in mente di criminalizzare un’auto se il suo guidatore va a sbattere da ubriaco. Il bullismo non è un reato di serie B né uno scherzo tra ragazzi finito male, questi ragazzi non scherzavano affatto e chiamarli baby gang è riduttivo, chiamiamoli criminali e denunciamoli.

 

Raffaele Portofino

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Raffaele Portofino

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