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The End of the F***ing World: gli inglesi raccontano l’adolescenza meglio degli americani

 

The End of the F***ing World è una serie tv britannica in 8 veloci episodi, prodotta da Channel 4 e All 4 nel Regno Unito e distribuita da Netflix in tutto il mondo, compresa l’Italia. Vista la sua durata complessiva di neanche 200 minuti, lo scorso weekend è stata presa d’assalto e divorata dai tanti utenti affamati di storie di adolescenti disturbati.

La trama, adattata da un fumetto di Charles S. Forsman, vede due ragazzi di 17 anni, James e Alyssa (brillantemente interpretati da Alex Lawther e Jessica Barden), vivere una storia d’amore borderline che somiglia alla versione disturbata di Harold e Maude (Hal Ashby, 1971) imparentato alla lontana con True Romance (Una vita al massimo – Tony Scott, 1993).

The End of the F***ing World è un road movie a puntate, del tutto atipico, in cui le istanze e gli orrori dell’adolescenza sono intrise di humor nero e di dolcezza, di quella che non ti aspetti di trovare in una storia che parla di violenza, psicopatia e ribellione. Praticamente, un Moonrise Kingdom (Wes Anderson, 2012) per veri disagiati che non mancherà di far innamorare gli spettatori dei due giovani in fuga dal classico buco di culo di città, alla ricerca di una salvezza che forse neanche c’è.

Il tocco britannico che rende le serie tv inglesi uniche

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Pensate a qualche titolo: Skins, Black Mirror, Dead Set, Misfits, Sherlock, Utopia, Luther, Lovesick ma anche The Office o The IT Crowd. Tutte diverse tra di loro ma arricchite dal minimo comune denominatore di essere serie tv inglesi (da guardare assolutamente in lingua originale, altrimenti si gode solo a metà). Il tocco britannico è talmente presente in ognuna di esse da renderle del tutto diverse da quelle che trattano gli stessi argomenti, ma che sono state prodotte negli Stati Uniti e The End of the F***ing World non fa eccezione. Quel gusto che mischia da sempre la tradizione col punk e con la voglia di stupire, di uscire dalle regole a cui le serie tv sembrano abituate. Lo spirito inglese è dissacrante e iconoclasta, riesce a farsi beffe della morte con lo humor nero e l’aplomb caratteristico, ma anche quando c’è da picchiare duro sui sentimenti e sulle scene che strappano il cuore a metà, gli amici d’oltremanica sanno dove colpire.

 

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In questo senso, The End of the F***ing World racconta una storia di certo non originalissima: due adolescenti più o meno disturbati che scappano dalle loro vite orribili per andare alla ricerca di una parvenza di libertà insieme. Nel mezzo, si aprono la strada con effrazioni della legge più o meno violente. Immaginate quanto sarebbe stata pedante, didascalica e sottilmente paternalistica la storia se fosse stata ambientata negli Stati Uniti: gli spiegoni, il bene e il male nettamente divisi, la morale alla fine della storia, un po’ alla 13. Qui invece, per dirla in soldoni, si entra dentro la storia coi panni e tutto.

 

James e Alyssa, due icone disturbate e splendenti

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I due protagonisti sono James, un potenziale psicopatico con un dramma familiare alle spalle e un padre troppo debole, e Alyssa, una disagiata abbandonata dal padre e dimenticata dalla madre che si è rifatta una nuova famiglia. Lo sfondo, una cittadina inglese qualunque, di quelle ad alto tasso d’insignificanza, che si trovano fotocopia in tutto il mondo. Si incontrano a scuola, lui timido e con manie omicide, lei spavalda e fuori da ogni schema, si innamorano quasi per esperimento sociale e decidono di scappare insieme. Del viaggio diciamo poco per non frenare la vostra sorpresa, ma c’è di mezzo un coltello, due donne agenti di polizia con una sorta di relazione, un tizio di nome Frodo (interpretato da Earl, il figlio di Nick Cave), una pompa di benzina, qualche auto, una notte passata in casa di qualcun altro, una spiaggia e le voci fuori campo dei due ragazzi, che danno vita ai pensieri più nascosti.

 

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Alex Lawther interpreta James e se continuate a domandarvi dove l’avete visto, la risposta è la puntata 3×03 di Black Mirror, quella del meme che sghignazza (brividi). Jessica Barden ha un curriculum di tutto rispetto, tra The Lobster e Penny Dreadful. Insieme formano la coppia perfetta. Lui sembra uscito dai Jesus & Mary Chain, lei da Buffalo ’66 di Vincent Gallo. La colonna sonora poi rende tutto ancor più divino, mischiando un sacco di perle oscure del ’70 col brit rock (non a caso il curatore è Graham Coxon dei Blur).

Non servono altre parole per descrivere quella che a fine 2018 sarà nella top 10 delle serie tv più belle dell’anno. Basta perdercisi dentro e innamorarsi, perdutamente, come capita a James e Alyssa persi tra gli ormoni e la mente contorta di quel merdaio nero che è l’adolescenza. Il resto non conta proprio niente.

 

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Simone Stefanini

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