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Vacanze Italiane: Cecina Mare e l’estate che non finisce mai

Gif di Gabriele Ferraresi

 

L’estate sta finendo, ed ecco l’ultima puntata di Vacanze Italiane, la rubrica dove abbiamo raccontato i posti dove tutti noi siamo stati in vacanza: ma solo fino ai 18 anni. Grazie a tutti. 

Abito da sempre a Cecina, sulla costa toscana e qui l’estate non finisce mai. Non per una questione climatica, più per un fattore psicologico. Tutto ruota intorno all’estate, qui da me, anche a dicembre, quando vado a prendere un caffè al mare per contemplare i fantasmi degli ombrelloni e ascoltare attentamente l’eco delle chiacchiere dei ragazzini sulla spiaggia. Non ho mai fatto una vacanza in vita mia, non sono abituato a cercare un mare diverso da quello che conosco così bene e l’estate mi è entrata dentro, si è fatta la tana tra le mie costole.

A me però l’estate è sempre piaciuta poco. Per prima cosa, non so nuotare. So stare a galla come i cani e quando mi cimento nello stile libero, sembra sempre sia sul punto di soccombere. La colpa è di un tipo che ha qualche anno più di me e che da piccolo mi ha sgonfiato il materassino in un punto in cui non toccavo, lasciandomi andare a fondo. Non preoccupatevi per me, ce l’ho fatta a risalire e dopo aver sputato litri d’acqua salata, dopo aver pianto e dopo aver giurato eterna inimicizia al mare, ho mandato un accidente talmente potente in direzione di quel tipo che oggi è un alcolizzato cronico di 120 chili che esce di casa in mutande per cercare il gatto e non sono nemmeno sicuro che ce l’abbia, un gatto.

L’estate, dai 15 anni in poi, è sempre stata sinonimo di lavoro. Cameriere in un albergo per turisti, tre turni al giorno: colazione, pranzo e cena. I miei amici che non dovevano lavorare sembrava vivessero il sogno mentre io stavo sempre a controllare l’orologio, per sapere quanto mancava al turno successivo. Lavorare d’estate coi turni spezzati significa non riposarsi mai e coltivare un sano odio nei confronti dei turisti.

D’altra parte, noi poveri indigeni ci dovevamo pur divertire in qualche modo e capitava quando la vecchia di turno mandava indietro una pesca perché troppo dura, chiedendo a uno di noi di portarne una più matura. La prassi era prendere la pesca, sbatterla per terra, prenderla a pedate e frollarla, poi passarla sotto l’acqua per donarle un aspetto sano e riportarla dalla signora, che ne constatava la consistenza e poi ringraziava calorosamente.

Non è sempre stato così, non ho sempre lavorato. La prima volta che ho preso il motorino, un Garelli Eureka Flex marrone di nascosto da mio padre avevo 13 anni. Io e i miei amici storici, quelli coi quali giocavo a pallone in strada, con cui esploravamo le sponde del fiume alla ricerca di tesori e con cui fingevamo di essere i Kiss, avevamo deciso che eravamo abbastanza grandi da girare in motorino, per farsi vedere dalle ragazze.

Il nefasto Garelli non aveva i pedali tipo il Ciao e quando si fermò a 10 o più chilometri da casa, diventai viola di paura. Dopo un sacco di spinte riuscimmo a farlo ripartire ma il malvagio non poteva frenare, pena il decesso del mezzo. Al primo semaforo rosso dovetti tenerlo frenato mentre acceleravo e quando sono ripartito, la spinta è stata talmente grossa da farmi finire come un razzo su un cartello pubblicitario. Niente di rotto, ma una figura di merda di quelle che non si scordano.

Poi il gelato preso in passeggiata a Marina con tre ragazze delle quali ero innamorato, mentre al juke box mettevamo le canzoni d’amore degli Scorpions, che in quegli anni spopolavano.

Un altro juke box in passeggiata a Marina, in cui potevamo inserire i cd portati  da casa e farci serata ascoltando dai Metallica agli Ustmamò, bevendo birra che donava invincibilità.

La prima volta che sono stato davvero felice, conoscendo ragazze con indosso magliette che si sposavano perfettamente con la mia dei Cure.

La sensazione che l’ultimo giorno d’estate esista davvero, quello in cui dal nulla ti sale in gola la mancanza di tutto, in cui guardi i tuoi amici e ti chiedi dove sarai tra un anno e se uscirete ancora insieme e se i baci e le voglie e le risate avranno lo stesso sapore o saranno meno brillanti, opacizzati da quella patina chiamata tempo, che mannaggia a tutto ti fa diventare adulto anche se non vuoi.

Alla fine è andata bene e ne sto scrivendo 20 anni dopo da casa mia, e dal terrazzo vedo qualche centimetro di mare. Sono un niente e se non te li faccio notare non li vedi nemmeno, ma io so che ci sono, e tanto basta.

Simone Stefanini

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