Viaggi

Vacanze Italiane: Ripattoni, fontanelle, introspezione e Spice Girls

Gif di Gabriele Ferraresi

 

Oggi Vacanze Italiane arriva alla settima puntata: dopo Pietra Ligure, StreviPalleusieuxCapitolo, Moneglia, Versciaco, oggi ci spostiamo in Abruzzo, a Ripattoni. 

Vacanze Italiane è una rubrica in cui raccontiamo i posti dove tutti noi siamo stati in vacanza fino ai 18 anni. È il nostro tema libero sull’estate, visto che ormai siamo in periodo di compiti per la vacanze: se volete mandare la vostra vacanza italiana, scrivete a info@dailybest.it. 

In quarta elementare la maestra aveva fatto comprare un quaderno a righe, di quelli piccoli ma con pagine larghe. Era stata chiara: sceglietene uno che abbia una bel paesaggio in copertina, che sia una città, una spiaggia, una montagna. Gli altri avevano per lo più optato per luoghi esotici mentre il mio istinto aveva scelto una casa e un campo di pannocchie.

Non ricordo il perché, fatto sta che quella sarebbe stata la copertina del mio diario delle vacanze e avrei dovuto scriverci almeno due giorni a settimana, dal termine della scuola, fino alla fine dell’estate. No choices.

Ogni estate da quando i miei occhi – contornati da strane lentiggini e sopracciglia albino – ricordano, io, insieme ai miei genitori, mia sorella maggiore e i miei nonni ho passato l’intero mese di agosto e parte di settembre in Abruzzo, a Ripattoni, provincia di Teramo.

Ripattoni è un pezzo di terra posto in alto, su una ripa. Da qui l’inizio del suo nome. C’è nata e cresciuta mia nonna e la casa dove alloggiavamo era quella della sua famiglia. Si trova esattamente davanti alla chiesa del paese e un pomeriggio mi è stato raccontato che tanto tempo fa, la mia bisnonna c’era morta dentro. Nella camera da letto, di crepacuore.

Ho sempre pensato che solo tanto tempo fa si potesse morire di crepacuore, crepacuore è una parola che non si usa più, quindi: non si muore più di crepacuore. In ogni modo era morta per felicità, perché le avevano detto che il mio bisnonno era stato visto al paese di sotto, dove c’è la stazione e che stava tornando da lei, dopo la guerra. Inutile dire che ho sempre dormito male in quella stanza, ma ho anche fatto spesso dei sogni bellissimi.

Un’altra cosa importante, che ricordo e che mi fa ridere ancora, è sempre legata a mia nonna, ma alla sua parlata. Appena imbroccavamo la salita, che divideva l’aperta campagna, con le balle di fieno, i girasoli e i sassi dalla piazza, il suo abruzzese si infittiva. Io capivo sempre meno e lei continuava ad alta voce, in quel modo, fino a quando aprivamo la porta di casa. Poi si placava e tornava a dire quattro o cinque parole in un italiano accessibile.

Per quanto mi riguarda, io impiegavo sette giorni buoni ad abituarmi, a tentare di rimettere in bocca quelle parole che sapevo di conoscere, ma che ogni inverno dimenticavo. Avevo un mio gruppo di amici a Ripattoni, mi chiamavano “la romana”, erano tutti ragazzi, tranne una, Jennifer.

Con lei passavo inevitabilmente più tempo, vuoi perché non sapevo andare in bici (cosa che sì,è bizzarro, ma non so fare neppure ora), vuoi perché all’epoca ero piuttosto romantica, per cui ogni estate mi innamoravo di qualcuno, e a vederlo mi tremavano le mani, ero preda di mille imbarazzi.

A Jennifer piacevano due cose: le chiese e le fontanelle. Odiava il caldo, anche io lo soffrivo, ma lei lo odiava meglio, lo odiava di più.

Per questo motivo aveva trovato una soluzione, dividere i nostri pomeriggi insieme tra schizzi d’acqua e pause all’ombra di un altare, sedute sulle panche di legno, quando in chiesa non c’era mai nessuno.

Devo ammettere che si stava davvero bene e si potevano fare lunghissime chiacchierate. Un giorno a Jennifer venne l’idea di aprire il cassetto di un armadio, vicino a una vecchia croce, dentro c’erano delle buste piene di ostie. Ricordo che avevo paura, lei no. Disse che erano sconsacrate e per questo se ne avessimo mangiata una, non sarebbe stato peccato.

Risposi che non avevo ancora la comunione, lei decise che fosse il modo migliore per farmi arrivare preparata. Ne prese una e me la mise in mano e poi: “Mangiala, cioè aspetta che si sciolga un po’ e poi masticala. Nel mentre però ringrazia Gesù per una cosa bella, anzi la più bella cosa che ti viene in mente”. Avevo capito poco e sinceramente avevo paura di avere appena acquistato il mio biglietto di sola andata per l’inferno, ma lo feci.

Tra tutte le cose per cui avrei potuto ringraziare il divino, per avere mia sorella, i miei capelli ramati, i miei nonni o i miei genitori, io scelsi di chieder grazie per le Spice Girls. Per la loro presenza nel mondo e soprattutto sotto forma di figurine nelle Big Babol che compravo ogni domenica al bar della piazza.

Era evidente che ancora non fossi pronta per accogliere Gesù nella mia vita, ma quello che era certo è che avevo una storia da scrivere sul quaderno con la casa e le pannocchie.

Serena Carollo

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