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Ma davvero Starbucks è un’umiliazione per gli italiani?

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Kipling diceva che “Tra la lucidità e la follia c’è solo una sottile linea rossa“. Anche tra il conservatorismo soft, con quelle venature da piccolo borghesi fuori dal tempo del Corriere della Sera e lo sbraco totale, il titillamento degli istinti leghisti più bassi c’è una sottile linea: è la linea Cazzullo.

Questa Linea Maginot della banalità da bar è stata valicata proprio oggi, in un pezzo di Aldo Cazzullo straordinario, a proposito dell’apertura di Starbucks a Milano. Un intervento che vale la pena di riproporre nei suoi passi salienti, analizzandolo per bene, riga dopo riga.

  • Cari lettori, da giorni sono inondato di messaggi contro le palme di piazza Duomo, quasi tutti negativi. È passata in secondo piano quella che a me pare la vera questione: lo sbarco di Starbucks, che delle palme è sponsor

La mia personale traduzione è questa: “Cari lettori, abbiamo deciso, ho deciso, che le palme in Duomo ci stanno antipatiche: principalmente perché il tema fa traffico online e vendiamo qualche copia in più, come sempre succede quando si soffia sul fuoco del reazionariato più retrivo, ma non è questo l’importante. Non guardate il dito, vi indico io ora la Luna“.

Per i non milanesi o per chi ha cose più importanti da seguire – quindi qualunque cosa, anche quei grumi di capelli e polvere che avete sotto il divano – la multinazionale del caffè Starbucks apre a Milano in centro, pianta qualche palma in un giardinetto, esplode il delirio. Qualche disturbato dà fuoco a una delle palme, sfilano striscioni “No all’africanizzazione di piazza Duomo”, eccetera.

Ma non distraiamoci.

Prosegue Cazzullo

  • In linea di massima sono favorevole alle nuove iniziative, a maggior ragione se creano posti di lavoro. Ma l’apertura in Italia di Starbucks come italiano la considero un’umiliazione.

Attenzione al colpetto retorico iniziale: quel “In linea di massima” è per darci l’abbrìvio, è una mossa da maestro. Tra le righe emerge quindi questa cornice ideologica: “Chi io? Non penserete mica a me come un reazionario: qui siamo al Corriere, mica a Libero” una cornice sconfessata poche battute dopo, con “ma l’apertura in Italia di Starbucks come italiano la considero un’umiliazione”. Eh?

Proviamo a scriverlo in capslock, magari si capisce meglio.

L’APERTURA IN ITALIA DI STARBUCKS COME ITALIANO LA CONSIDERO UN’UMILIAZIONE

Uno dei principali editorialisti e firme del Corriere della Sera ritiene l’apertura di una caffetteria, certo, una grande caffetteria, un locale diverso da come siamo abituati a intendere il bar in Italia – spoiler: a Milano e Firenze esistono da anni locali di quel tipo, alla Starbucks, si chiamano Arnold Coffee – come qualcosa di penoso, che dovrebbe generare vergogna, contrizione, negli italiani, negli italiani veri, quelli pizza, mandolino, mamma, caffè. Ma come mai?

  • Perché Starbucks è il più clamoroso esempio al mondo di Italian Sounding: di prodotti che suonano italiani, ma non lo sono. In tutto il pianeta, a cominciare dalla casa madre americana, il menu è scritto in italiano

And so on, and so on, and so on: per complessivi 927 caratteri spazi inclusi c’è un ammirevole esercizio di cerchiobottismo, con equilibrismi straordinari, degni del funambolo Philippe Petit: del resto non è facile tenere insieme il misoneismo, con una impossibile chiusura – più che una convinta apertura – al mercato, lo slancio renziano/progressista verso il nuovo e la nostalgia del bel tempo che fu quando un caffè costava 1.500 Lire.

Cazzullo è fenomenale nel titillare gli istinti dell’Uomo della Strada, il lettore ideale che di Cazzullo non possiede il capitale culturale e non fa finta che sia un’umiliazione, lo pensa davvero che una caffetteria americana in centro a Milano sia un’offesa al tricolore, all’Italia di “Ah, che bellu ‘ccafe!“, a tutto quello che c’è di buono e sacro.

La passeggiata sul filo va avanti fino alla chiusa, dove arriviamo all’apoteosi.

È uno studiatissimo, perfetto, irripetibile exeunt da bar.

Eccolo

  • Sono però curioso di vedere quanti dei 350 posti di lavoro annunciati a Milano andranno a giovani italiani, e quanti a giovani immigrati.

È un grattino sulla pancia al gattino leghista che è lì, sonnecchia in tanti italiani. Perché sì, signora mia, se anche lavorassero, questi immigrati sarebbe proprio un peccato: prima gli italiani! Anzi prima i loro figli, i giovani italiani di cui scrive Cazzullo, che però pare – a quel che si intuisce tra le righe – non abbiano voglia di fare un cazzo nella vita.

Gabriele Ferraresi

Lavoratore intellettuale salariato

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Gabriele Ferraresi

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