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La Conferenza sul clima di Parigi è un buco nell’acqua annunciato?

Migliaia di scarpe lasciate in place de la République a Parigi come segno di protesta dopo che il governo francese ha proibito le manifestazioni per ragioni di sicurezza

 

La Conferenza internazionale sul clima (#COP21) è uno di quegli eventi che spostano l’asticella sempre più in alto: c’è un grosso problema da affrontare – il cambiamento climatico – e poche soluzioni per portare a casa un risultato – ridurre le emissioni di gas serra. Poi leggi di tutti gli obiettivi mancati a livello globale e ti chiedi se fissare nuovi obiettivi da mancare non sia una nuova forma di masochismo.

I media stanno parlando di tutto quello che c’è da sapere sulla Conferenza internazionale di Parigi (a Le Bourget per l’esattezza), ma allo stesso tempo raccontano anche il sentimento di disillusione che serpeggia tra alcune persone. Il fallimento delle politiche sul clima è uno dei motori delle proteste a Parigi e in altre parti del mondo: semplicemente, c’è poca fiducia nella capacità dei governi di mettersi d’accordo per ridurre le emissioni di gas serra.

 

 

Aspettarsi grandi cose dalla COP21 è lecito, ma la possibilità di trovare un accordo condiviso da 195 nazioni è abbastanza remota. Negli ultimi anni sono state fatte molte cose per far tornare i conti intorno al fenomeno delle emissioni di gas serra: le previsioni dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) – l’organizzazione scientifica che valuta l’impatto del cambiamento climatico – dicono che per non mandare tutto all’aria dobbiamo limitare l’innalzamento della temperatura globale a un massimo di 2°C per il 2100.

Capiamoci, se un giorno nel lontano 2097 ci sarà un incremento di 2.1°C il mondo sarà comunque lo stesso: un posto fatto di grandi disuguaglianze dove non basta tenere d’occhio il termometro per vivere responsabilmente. L’attenzione mediatica nei confronti della Conferenza internazionale sul clima ha sensibilizzato le persone nei confronti dei cambiamenti climatici, ma li hanno anche resi un fenomeno mainstream.

 

Una mappa degli eventi climatici estremi. Risale a qualche anno fa, ma rende comunque l’idea

 

Insomma, sta succedendo e non possiamo farci nulla. Passiamo la palla ai governi e lasciamo che ci pensino loro. La verità è che molto – forse troppo – dipende dallo stile di vita di ognuno di noi. Non stiamo parlando del fatto che ognuno di noi dovrebbe adottare un metro quadrato di ghiacci polari, ma delle piccole azioni che ci possono aiutare a lasciare un’impronta ambientale meno profonda.

Un’idea del nostro impatto personale sull’ambiente a 360 gradi te la dà per esempio Virtual Water, l’infografica interattiva che quantifica l’acqua invisibile che consumiamo ogni giorno: tutto ciò che compriamo, indossiamo e – soprattutto – mangiamo è prodotto utilizzando una precisa quantità di risorse idriche. Facendo i conti, risulta che ognuno di noi “mangia” circa 3500 litri d’acqua al giorno.

Tuttavia, questi 3500 litri di acqua al giorno sono solo un numero, come quella soglia di +2°C che non vogliamo assolutamente superare. La verità è che abbiamo bisogno di meno numeri e più fatti.

Lorenzo Mannella

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