Quando si entra in un supermercato, capita spesso di essere attratti dalle etichette colorate e dalle offerte lampo che affollano gli scaffali. Gli oli di semi, in particolare, rientrano tra quei prodotti che vengono spesso proposti con sconti significativi, anche superiori al 50%. L’impressione è quella di trovarsi davanti a un’occasione da non perdere, ma nella maggior parte dei casi il prezzo ridotto nasconde una qualità compromessa, una provenienza poco chiara o, peggio, un prodotto prossimo alla scadenza.
Il meccanismo è semplice: confezioni accattivanti, slogan rassicuranti e parole che evocano benessere creano un senso di fiducia che abbassa le difese. In realtà, dietro certi barattoli o bottiglie dai toni dorati e dalla grafica curata si celano oli di seconda scelta, raffinati in modo intensivo, talvolta anche mescolati con ingredienti di dubbia provenienza. I produttori puntano su un marketing emotivo per mascherare difetti e velocizzare la vendita di lotti meno performanti. Il risultato è un prodotto che non solo perde buona parte del suo valore nutrizionale, ma può anche contenere residui chimici derivanti da processi industriali troppo spinti.
Etichette e claim: quando il marketing confonde più di quanto informi
Uno degli aspetti più insidiosi riguarda proprio il linguaggio. Termini come “premium”, “genuino”, “naturale” o “ricco di vitamine” non hanno alcun valore normativo. Non esiste una regolamentazione che definisca cosa debba contenere un olio per poter essere etichettato in quel modo. Questo consente alle aziende di giocare con le parole per far sembrare speciale un prodotto ordinario.
Molti consumatori non leggono le informazioni dettagliate sul retro delle confezioni, scritte in caratteri minuscoli. È lì che si trova la verità: metodo di estrazione, origine dei semi, eventuali additivi o antiossidanti. Se un olio è stato raffinato chimicamente, avrà perso quasi tutte le sue proprietà originarie, diventando una fonte calorica priva di benefici reali.

In altri casi si trovano oli che, pur dichiarati come “estratti con metodi tradizionali”, provengono da catene produttive automatizzate, con trattamenti termici tali da alterarne completamente il profilo. Quando una bottiglia viene venduta a meno di un euro al litro, è lecito chiedersi cosa si stia davvero acquistando. Spesso si tratta di miscele ottenute da materie prime low cost, conservate a lungo, sottoposte a processi che mascherano eventuali alterazioni organolettiche.
La trappola del risparmio: quando un olio costa poco per motivi che non vengono detti
Dietro uno sconto eccessivo si nasconde quasi sempre una motivazione commerciale che riguarda la necessità di smaltire un prodotto prima che perda del tutto le sue caratteristiche. Oli ossidati, partite acquistate in stock da altri distributori, materiali poco pregiati. È una pratica diffusa quella di rilanciare sul mercato lotti vecchi con una veste grafica nuova, un prezzo aggressivo e qualche slogan rassicurante.
Il danno, oltre che economico, può essere nutrizionale. Un olio trattato in modo aggressivo non è solo privo di nutrienti, ma può anche contenere tracce di solventi utilizzati nei processi di estrazione, oppure composti secondari generati durante il riscaldamento a temperature elevate.
Chi pensa di risparmiare, finisce spesso per comprare un prodotto che vale meno del suo prezzo, anche se ridotto. A ciò si aggiunge un rischio concreto per la salute, perché certi oli, se consumati in modo regolare, possono contribuire a infiammazioni croniche, aumentare il livello di colesterolo cattivo e ostacolare l’assorbimento di grassi buoni presenti in altri alimenti.
Per non cadere nella trappola, serve occhio critico. Leggere le etichette, evitare i claim generici e fare attenzione alla provenienza dei semi. Se manca chiarezza, meglio evitare. Un prodotto davvero di qualità non ha bisogno di slogan, ma solo di trasparenza.