Per molti pensionati e familiari superstiti, la pensione di reversibilità rappresenta una sicurezza economica indispensabile. Ma un recente intervento della Corte di Cassazione ha riscritto le regole del gioco, introducendo un principio che rischia di penalizzare chi non rispetta con precisione i tempi della burocrazia.
Una vicenda giudiziaria iniziata oltre trent’anni fa ha portato a una decisione che, pur riguardando un singolo caso, apre la strada verso un cambiamento profondo: l’INPS potrà negare o revocare la reversibilità se la domanda arriva in ritardo, anche senza indicare i dati esatti da cui far decorrere la prescrizione.
In altre parole, il semplice errore di tempistica o una documentazione incompleta potrebbe costare caro a chi pensava di avere ancora diritto al trattamento. La Cassazione, con una sentenza destinata a fare scuola, ha di fatto rafforzato la posizione dell’ente previdenziale.
Reversibilità, cosa cambia dopo la sentenza della Cassazione
La sentenza, depositata a settembre 2025, nasce da un caso emblematico: una donna aveva chiesto la pensione di reversibilità del padre, morto nel 1990, ma la domanda era stata presentata solo nel 2009. Dopo anni di battaglie legali e verdetti contrastanti, la Suprema Corte ha dato ragione all’INPS, confermando la validità della prescrizione del diritto.
Il punto centrale riguarda proprio la prescrizione decennale: se trascorrono più di dieci anni senza presentare domanda o senza atti formali che interrompano il termine, il diritto si estingue. E da oggi, l’INPS può eccepire la prescrizione anche senza indicare il giorno preciso da cui decorre, delegando al giudice la valutazione dei tempi.
Un dettaglio tecnico che, però, cambia tutto. In passato, l’istituto doveva motivare con precisione il calcolo dei termini, ora, basta che dichiari che il diritto è scaduto. Il peso della prova, quindi, ricade sul cittadino, che dovrà dimostrare di aver interrotto i termini o di aver agito nei tempi previsti.

Un altro aspetto non riguarda gli arretrati: anche quando il diritto alla reversibilità viene riconosciuto, gli interessi non vengono più calcolati dalla fatturazione delle singole mensilità, ma solo dai dati della domanda. Una differenza che, tradotta in cifre, può significare centinaia o migliaia di euro in meno.
Chi intende chiedere o mantenere la reversibilità deve oggi prestare particolare attenzione ai tempi e ai documenti. Prima regola: presentare la domanda entro dieci anni dal decesso del titolare della pensione.
È altrettanto importante conservare ogni ricevuta o comunicazione formale che possa testimoniare l’avvio di una pratica: lettere, PEC, protocolli o richieste di chiarimento all’ente. Anche un singolo atto interruttivo può fare la differenza tra ottenere la prestazione e vedersela negare.
Per chi ha già in corso un ricorso o una richiesta di arretrati, la prudenza è d’obbligo: la nuova interpretazione della Cassazione può essere utilizzata dall’INPS anche per pratiche pendenti. In questi casi, affidarsi a un legale specializzato in diritto previdenziale diventa fondamentale per valutare se il diritto è ancora esigibile.
