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di Mattia Nesto 25 Giugno 2021

“Il suo nome era Gilbert”. Le ragazze che cambiarono la storia del manga

Pubblicato in Italia, per J-Pop Manga, Il suo nome era Gilbert, è l’incredibile memoir di Keiko Takemiya

Il suo nome era Gilbert, il memoir firmato da Keiko Takemiya e pubblicato in questi giorni da J-Pop in una bellissima edizione, non si limita ad essere un manga ma è una vera biografia di una mangaka di fronte al suo ruolo e alla sua persona, alla propria arte e alle proprie lettrici e lettori.

Il salone Oizumi  Il salone Oizumi

Takemiya infatti, conosciuta al grande pubblico per il celeberrimo Il poema del vento e degli alberi, racconta la propria vita partendo dai primissimi anni Settanta, un periodo molto turbolento nel mondo e anche in Giappone. La società giapponese infatti era, come un po’ quella europea e americana, sospesa tra l’ansia dei conservatori di mantenere il potere e la voglia delle masse giovanili di dire la loro anche in senso rivoluzionario. “Aria di rivoluzione” si sente soffiare nelle pagine del libro, direbbe Battiato.

Come dice Josephine Yole Signorelli in arte “Fumettibrutti”: “Amore e dolore sono uguali per tutt*”.  Come dice Josephine Yole Signorelli in arte “Fumettibrutti”: “Amore e dolore sono uguali per tutt*”.

E la rivoluzione sociale e quella artistica ne Il suo nome era Gilbert marciano di pari passi. Nell’appartamento ribattezzato Salone Oizumi, si assiste a una sorta di micro-comune di mangaka, tutte giovani ragazze piene di vita e voglia di affermarsi come donne, conquistando i propri diritti, ma, anche e sopratutto come artiste, elevando i manga cosiddetti shojo, volgarmente definiti “per ragazze” (anche nel loro sottogenere dei boys love, ovvero dei racconti amorosi tra maschi omosessuali) al rango di lavori “importanti”.

Un libro veramente molto denso  Un libro veramente molto denso

Per tutto il libro, intervallato da magnifiche tavole, inseguiamo l’autrice nel suo bisogn di affermazione artistica e personale, scoprendone i lati deboli, i dubbi e le battute d’arresto fino ad approdare nel già citato Il poema del vento e degli alberi (la cui genesi, affonda le radici proprio all’inizio degli anni Settanta). Come avrete capito la qualità del libro, anche grazie alla solidissima traduzione di Loris Usai, è eccezionale e, verso il finale, c’è anche spazio per una delle migliori definizioni di cosa sia un manga che io abbia mai letto. Ve la riporto qui perché è troppo bella per ometterla:

La mia concezione del “manga” è questa: una piattaforma sulla quale si riflette, ci si interroga, ci si avvicina alla realtà.

Adesso avete finalmente compreso perché fareste, tipo subito, a correre in libreria.

 

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