Ci sono situazioni in cui il passato torna a bussare alla nostra porta con prepotenza, anche quando si pensava fosse ormai sepolto. Quello sembrava dimenticato riemerge con conseguenze sorprendenti, danneggiando ciò che siamo riusciti a creare nel frattempo, lasciandoci alle spalle il passato e andando avanti.
Nel contesto lavorativo, poi, non siamo abituati ad avere un passato e ogni nuova assunzione è come l’inizio di una vita diversa. Ogni impiego è quindi un punto di partenza, la prima tessera di un puzzle, il foglio bianco su cui scrivere la nostra esistenza.
Cassazione, gli errori del passato vanno puniti
Almeno fino a poco tempo fa era così, ma una recente sentenza della Corte di Cassazione ha cambiato completamente le carte in tavola. Ha infatti stabilito la legittimità dei licenziamenti, per giusta causa, anche a causa di comportamenti gravi avvenuti prima della firma del contratto.

In buona sostanza, qualsiasi errore commesso, anche con altre aziende, in altri settori e prima dell’assunzione nell’attuale, può essere considerato un valido motivo. Certo, devono essere scoperti dopo l’effettiva assunzione ed essere incompatibili con le mansioni del nuovo lavoro, ma il passato torna sempre per punirci.
Un caso emblematico, di quanto discusso, riguarda un portalettere assunto da un’azienda di servizi postali nel 2006 e che si è trovato così, senza lavoro. Tutto a causa di una perquisizione, da parte delle Forze dell’Ordine, all’interno del suo appartamento e che ha rivelato migliaia di lettere rubate.
La scoperta ha messo in crisi l’intero rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, tra l’altro già impiegato in passato dalla stessa azienda. Anche all’epoca, licenziato e poi riassunto dopo una conciliazione, era riuscito a passare inosservato e a tornare operativo come portalettere, ignorato da tutti.
Ma quando la verità è venuta a galla, l’azienda ha agito con decisione, avviando un procedimento disciplinare e licenziandolo per giusta causa. Il lavoratore ha tentato di difendersi, sostenendo che i fatti risalissero a un impiego precedente e che all’epoca della nuova assunzione non ci fossero stati problemi.
Dopo primo grado e appello, la Cassazione, infine, ha chiuso il caso, dando piena ragione all’azienda e validando i motivi del licenziamento. La sentenza sottolinea che non conta quando si sono verificati i fatti, ma quanto questi ledano la fiducia necessaria allo svolgimento delle mansioni.
Questa decisione rappresenta un punto di svolta nella giurisprudenza italiana e mette in risalto quanto il vincolo fiduciario non sia solo un principio astratto. Si tratta invece di una condizione concreta e imprescindibile, che qualora venisse meno darebbe ragione al datore di lavoro di interrompere il rapporto.