Libri

Fiori di filo spinato: andiamo a vedere le luci della centrale elettrica

Kizazu e Maxem con Fiori di filo spinato ci regalano una storia eco-punk da ricordare.

La copertina di Fiori di filo spinato

Le prime volte che su Instagram mi sono imbattuto nelle tavole di Fiori di filo spinato sono rimasto rapito: il design e il tratto di Kizazu, infatti, era come se mi trasportassero in un mondo malinconico e dolente, ma anche bellissimo e poetico, con queste giovani ragazze e ragazzi che, dolcemente, guardavano dei paesaggi, sceglievano dei libri da una bancarella oppure ancora accarezzavamo un gatto. Poi quando Edizioni BD mi ha fatto omaggio del libro mi sono immerso nella storia di Maxem e, ancora una volta, sono rimasto rapito: la vicenda di pseudo eco-terrorismo, potremmo dire, descritta in Fiori di filo spinato mi ha ricordato per certi versi i primi dischi di Vasco Brondi (all’epoca aka Le luci della centrale elettrica, per altro citato in una vignetta) e poi, un po’, le atmosfere di Anna di Niccolò Ammaniti, soprattutto per il riferimento alla misteriosa “malattia dei fiori” correlata allo stesso inquinamento.

Lo stile poetico e sognante di Fiori di filo spinato

Se dovessi infatti eleggere un sentimento che mi ha seguito mentre leggevo delle vicende di queste ragazze e ragazzi “schiacciati” in questo borgo siciliano dominato dalla titanica raffineria, che è al tempo l’unica, o quasi, fonte di reddito e sostentamento per la popolazione locale e al tempo stesso la causa delle malattie che ne colpiscono gli abitanti, sarebbe la malinconia. La malinconia, quasi “ancestrale”, per quando quella raffineria non c’era e al suo posto c’era un piccolo insediamento di pescatori, la malinconia per quando non ci si ammalava del “morbo dei fiori” e si poteva costruire il futuro, la malinconia di quando si poteva essere degli esploratori uomini anche se si era una alunna delle elementari, la malinconia per quando il proprio padre era grande e forte e ti poteva, ancora, cullare. Queste declinazioni di malinconia le ho viste negli occhi dei nostri protagonisti che in questo paesaggio desolante, bruciano di voglia di rivoluzione. Una rivoluzione che può essere silenziosa e estetica, come quella di chi si disegna in faccia migliaia di lentiggini “per diventare qualcun altro” e si tinge i capelli di rosso oppure tangibile e diretta, come chi vuole cambiare il sistema e sabota tutti i simboli del potere dominante.

Un bellissimo volume Fiori di filo spinato

La costruzione narrativa non segue, sempre, l’ordine degli eventi, ma di tanto in tanto ci sono ora dei flashback ora dei flashforward. Personalmente non mi è dispiaciuta questa scelta anche se, almeno in due occasioni, a mio avviso poteva essere esplicitata meglio la consecutio degli eventi, ma, ripeto, è una mia impressione un po’ pedante. Il fumetto è bello, palpitante e anche commovente in certe istanze. Quello che rimane, quello che rimane nel mio ricordo è, ad esempio, lo sguardo di quel ragazzo che osservando le luci della raffineria dice “è come se ci abitassero centinai di migliaia di persone”. Ecco quello che è Fiori di filo spinato: tante luci in mezzo al cemento, tanti cuori sospesi e dolenti che bravano poesia mentre respirano veleni. Insomma una pagina del nostro Paese, al tempo stesso bellissimo, vivo e mirabile ma anche sporco, inquinato e cattivo. Ve lo consiglio.

 

Mattia Nesto

Fa che la morte mia, Signor, la sia comò 'l score de un fiume in t'el mar grando

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