Libri
di Francesco Carrubba 30 Marzo 2020

Nasce #Telefonami, la nostra storia collettiva scritta in quarantena: inviate testi e immagini

Sei in isolamento? #Telefonami! Creiamo insieme un racconto di “evasione” per trasformare l’emergenza in bellezza. Ecco l’incipit: lasciati ispirare, poi manda parole, foto, video, disegni, fumetti…

Sfruttiamo a nostro favore la quarantena e scriviamo una storia collettiva, per alleviare questo periodo e rallegrare le giornate di tutti. Lucio Dalla lo diceva sempre: bisogna trasformare dolori e difficoltà in parole, versi ed emozioni… in bellezza, insomma. Artisti come Samuele Bersani e Luca Carboni hanno seguito il consiglio. Facciamolo anche noi.

Ecco l’incipit da cui partire: un prologo di “evasione” e una cover “spaziale”, per dare il via. Liberate la fantasia e inviate a “francescocarrubba@hotmail.it” testi, racconti, poesie, foto, video, disegni, fumetti… Oppure commentate, date idee, inventate personaggi, scrivete i capitoli successivi e suggerite come proseguire.

Quando la normalità sarà tornata, questa storia collettiva rappresenterà un frutto virtuoso dell’emergenza. L’idea è dedicata a Raffaele Masto, giornalista, scrittore e narratore di storie, rubato dal Coronavirus: ciao Raffa, “telefonami nello spazio…”.

Indice

    1. TELEFONAMI (L’astronauta) di Francesco Carrubba, cover di Davide Passoni
    2. LEI E LA LUNA: foto di Pamela Rovaris, poesie di Claudio Galli
    3. IN CITTA’: vignette di Alessandro Morelli, racconto di Anna Scardovelli
    4. IN ORBITA: disegni e poesia di Davide Passoni
    5. LEI E GLI OGGETTI: poesia e foto di Laura Garavaglia
    6. LA SPESA: racconto di Riccardo Zappelli
    7. CERCARSI: poesie di Matteo Piergigli e di Anne Koornstra
    8. QUATTRO MURA: poesia di Raoul Di Giovanni
    9. IL TEMPO: poesie di Riccardo Zappelli
    10. ASPRONAUTICA: elementi “Asproposito” di Alessio Luise
    11. LO SPAZIO: poesia e racconto di Marina Sibaud
    12. IL FUTURO: racconto di Laura Ragni
    13. LE STELLE: poesia di Alessandro Porto
    14. IL CINEMA: locandine di Pasquale Capraro
    15. I PENSIERI: Racconto e installazione artistica di Carlo Solidoro
    16. FUGA DALLA REALTA’: Racconto di Maria Angela Maretti
    17. LA TELEFONATA. Racconto di Ornella Spagnulo, video di Maria Vittoria Severini
    18. THE MASK: locandine di Pasquale Capraro
    19. DISARMONIA: testi di Lola Giuranna e Marina Sibaud
    20. RICONGIUNGERSI: video corale di Fantomars
    21. L’ATTESA: locandine di Pasquale Capraro
    22. IL PASSATO: testo e disegno di Emma Frignani
    23. L’UOMO: testo di Marina Sibaud, disegno di Alessandro Morelli
    24. FASE 2: testo di Loredana Bianchi
    25. RICORDO INTERSPAZIALE: testo di Francesco Carrubba, disegno di Giacomo Carrubba

1. Prologo. “TELEFONAMI (L’astronauta)

Telefonami
nello spazio
sarò breve però
so che capirai
Ho la Luna girata
buchi neri sul viso
la vista su Marte
sognando il Monviso
Saturno ha gli anelli
ma vuoi mettere i tuoi
mal di testa perenne
che vedo le stelle
…Sempre quelle
uguali ogni giorno
come sorelle
povere e belle

Telefonami
nello spazio
sarò breve però
so che capirai
Ho la ricarica a vita
ma la batteria è finita
così ti regalo
il mio ultimo giga
Saranno meteore
di poche parole
le dimenticherai
al prossimo sole
…Sempre quello
uguale ogni giorno
come un fratello
povero e bello

Leggo venti poesie
alla luce di scie
bianche splendenti
di comete cadenti
Perché sul comodino
della mia navicella
fa da lampadina
la tua foto più bella
So che capirai
So che capirai…

E quando sono partito
mica lo sapevo
che dal cielo infinito… io
non sarei più tornato
non sarei più tornato
…mi capirai?
(Francesco Carrubba, giornalista e autore – Lodi Vecchio, LO)


© Davide Passoni, Poesia Potente e Chitarra Tonante / Poetry Slam! Zelig Tv (Carnate, MB)

2. LEI E LA LUNA

Intanto un profilo notturno di donna guarda il satellite e attende squilli dallo Spazio. Mentre fissa il cielo, nel silenzio della città ai suoi piedi, gli unici suoni vengono dalle parole scritte sui muri…

© Pamela Rovaris, fotografa (Milano-Bergamo)

Claudio Galli, scrittore ed editore Nomadistad (Firenze)

3. IN CITTA’

Ognuno reagisce a modo suo. C’è chi vive il mondo reale costretto in casa come Monsieur Zero e chi come il giornalista che, unico al mondo, ha la possibilità di intervistare proprio lui: il signor Coronavirus.

“Si chiama Monsieur Zero e viene da talmente lontano da essere così vicino a tutti noi. Oppure forse viene da talmente vicino da risultare così lontano a tutti noi. Insomma Monsieur Zero ha dei problemi in generale con il Reale, figuratevi adesso in questa condizione particolare”

Alessandro Morelli, cantautore “Elvis Cobalto”, scrittore, videomaker (Latina)

Dialogo con il Virus

Arrivo emozionato all’incontro del secolo, unico giornalista a cui il protagonista del momento abbia concesso un’intervista.
L’appuntamento è nella Sala Bianca di un famoso ospedale milanese, epicentro della Pandemia.
All’ingresso mi controllano da testa a piedi: autocertificazione, guanti, occhiali, mascherina. Mi provano la febbre: 36.5.
Chiedo: “Lui è già dentro?”. Mi fanno un cenno positivo.
Entro lentissimo, un passo alla volta, come su una lastra di ghiaccio.
Sopra una sedia, trovo scritto il mio nome. Mi ci siedo.
Sull’altra, a circa 2 metri di distanza, un cartello visibile che presenta l’invisibile: Coronavirus.
Un cono di luce illumina il punto in cui si trova.
Mi hanno avvisato che avrò solo 15 minuti per parlare con lui.
E che non lo vedrò per tutto il tempo, ma potrò sentirne chiaramente la voce.
Prendo un respiro.
Non vedo l’ora.

Io: Buongiorno, e grazie per aver accettato di incontrarmi. Posso chiederle …che lingua parla?
Lui: Grazie a lei per aver chiesto di me. Qui tutti si affannano a interpellare scienziati, medici, esperti, politici, pneumologi, epidemiologi, maghi e astrologi. Ma mai che a uno fosse venuto in mente di parlare direttamente con me.

Sorrido
Lui prosegue.

Lui: Quanto alle lingue…. parlo principalmente Cinese, ma ho imparato rapidamente anche l’Italiano e molti altri idiomi. Possiamo benissimo condurre questa intervista nella sua lingua.
Io: D’accordo, la ringrazio. Per prima cosa…Come si sente?
Lui: Bene, direi. In ottima forma. Un po’ stanco di viaggiare a destra e a sinistra, ma – come dire – credo sia inevitabile per uno come me.
Io: Credo anch’io. Ecco mi interessava soprattutto capire…ma qual è il suo scopo, signor Coronavirus?
Lui: Sa. Io sono un essere vivente. E come tutti gli esseri viventi il mio scopo è vivere. Non è diverso dal suo.

Io: Certo, lo capisco. Ma… lei si è accorto che la sua vita spesso coincide con la morte di noi umani… voglio dire, è consapevole di questo?
Lui: Naturalmente. Del resto …cosa potrei mai farci? Sono l’evoluzione di qualcosa che è accaduto prima di me. Come lei rispetto a suo nonno o a sua nonna. Intendo dire…non ho colpe intrinseche. Non ho volontà. E le assicuro che sono assolutamente privo di cattiveria. Certe categorie umane, a noi micro-particelle non sono applicabili.
Noi siamo semplicemente figli della nostra personale tassonomia: ci muoviamo liberi nel mondo secondo particolari morfologie, tipi di acido nucleico, replicazioni e patologie. Personalmente però, se posso dirlo, mi dispiace molto che voi umani siate i miei principali organismi-ospite.
E anzi, colgo l’occasione di questa intervista per porgere le mie scuse a tutta l’Umanità.

Nel momento in cui pronuncia la parola “scuse” mi accorgo che sto veramente parlando con lui, con il microscopico responsabile dalla Pandemia più terribile dal dopoguerra. E che quella pronunciazione così candida, spontanea, di questo esserino (come ha detto? ah sì “privo di cattiveria”) mi sta calmando i battiti. Trovandolo così ben disposto, decido di approfondire.

Io: Ma quindi, mi scusi: se lei non ha uno scopo, tutto quello che sta accadendo è privo di significato?
Lui: Non ho detto questo. Avere uno scopo è una cosa. Dare significato a ciò che accade è tutta un’altra. Io non ho uno scopo, e questo dovrebbe aiutarvi a cancellare la lettura manichea che state facendo di tutto questo. E convincervi, una volta per tutte, che non si tratta di una “guerra”. Io non odio, non vi odio. Anzi, tecnicamente è proprio il contrario: vi adoro, dal momento che non posso vivere senza di voi.
Io: Certo, ma lei capisce che ci sono decine di migliaia di vittime, presto centinaia di migliaia. il 10% dei contagiati sono persone destinate a morire. Mi dica almeno: come sceglie le sue vittime?
Lui: Vede, se lei una mattina si alza e trova un formicaio, diciamo così, un grosso formicaio nel bel mezzo del suo giardino …. sono certo che non esiterà a spruzzare su quell’onda nerastra uno dei più avanzati insetticidi che troverà in casa. E nel farlo, cosa osserverebbe? Che molte formichine riuscirebbero a scappare dalla sua nuvola tossica. Alcune, forse le più lente, o le più anziane, non sarebbero invece in grado di farlo e finirebbero per contorcersi e morire. Altre formiche, che si trovavano per pura fortuna ai margini dell’area in cui lei ha spruzzato il tremendo insetticida, nemmeno ne sarebbero colpite e continuerebbero indisturbate a fare …le formiche. E allora sono io che le chiedo: come ha scelto lei, le sue vittime nel formicaio?

Rimango abbastanza interdetto da questo confuso discorso.
Prendo un fiato, e mi butto a controbattere.

Io: Cioè lei mi sta dicendo che è tutto frutto del Caso?
Lui: Il Caso non esiste, amico mio. A meno che lei creda che si tratti di un caso che un bel giorno nel suo giardino si presenti un grosso formicaio…
Io: Allora sta insinuando che la Terra prima del suo arrivo fosse troppo popolata? Mi auguro di aver capito male.
Lui. Io non sto insinuando nulla. Vedo che lei ha molto bisogno di arrivare in fretta a una conclusione. Ma la fretta – lo sa – non fa parte delle mie modalità…Io ho fatto solo un piccolo esempio. Piccolo, come una formica.

Nell’ascoltare la sua voce pacata, precisa, dotata di un buon italiano, e con una tonalità fin troppo gentile, sento montare dentro di me un enorme senso di ambivalenza. Da un lato non posso che ringraziare di essere finalmente a tu per tu con il Virus, dall’altro la sua razionalità, la sua ironica freddezza, mi stanno decisamente irritando. Ma mentre sto per fargli un’ennesima domanda, a sorpresa è lui ad incalzarmi.

Lui: Posso chiederle io una cosa, adesso? Lei ha figli?
Io: Sì, ho due bambini piccoli, e una moglie che fa l’infermiera. In questi giorni è un delirio tenerli chiusi in casa. Mia moglie quasi non torna più, fra un turno e l’altro, per paura di contagiarci. Perché me lo chiede?
Lui: Perché i bambini sono uno dei segreti di questa faccenda. Pensi che anche volendo, posso fare poco contro di loro. Ve ne siete accorti?
Io: Sì, certo, lo sappiamo bene: la stragrande maggioranza non ha sintomi, per fortuna.
Lui: In realtà li ha. Ma li contempla, li combatte, e io vengo immediatamente espulso. Ecco, se posso darvi un piccolo consiglio…dovreste imparare da loro.
Io: Imparare da loro? E come? Gli adulti non sono più bambini.
Lui: Amico mio, i bambini prendono tutto molto sul serio, al contrario di quello che si pensa. Sono frontali, diretti… sa come si comportano con me? Mi guardano, mi incontrano, mi prendono in giro, e mi fanno fuori in poche ore. A volte esco dal loro corpo con una risata. Reagiscono, ecco. Senza pensarci troppo.
Ma è solo un pensiero, lo prenda per quello che vale.

Formiche, bambini, risate… cosa sta farneticando il signor Coronavirus?
Ma sì, va bene così. Se anche si stesse solo divertendo alle mie spalle, questa è la mia grande occasione per scoprire tutto e scrivere il pezzo del secolo.
Anzi adesso cambio completamente argomento, e lo spiazzo. Voglio capire davvero chi ho di fronte.

Io: Mi dica una cosa…lei si è mai innamorato?
Lui. Oh, che bella parola. Così lontana dalle mie dotazioni tassonomiche! Eppure le voglio dire un segreto…. un giorno di gennaio a Wuhan, sono finito nelle mucose di una meravigliosa signora cinese… era stata una modella, da ragazza, ed era ancora decisamente una bella donna. Sa, quei corpi che restano eternamente giovani? Mi sono posato per prima cosa sul bordo liquido dei suoi occhi, e poi mi sono tuffato dentro passando attraverso i seni nasali, per scenderle lentamente in gola e poi in trachea. Ricordo che le ho sottratto gusto e olfatto in pochi minuti, ma al momento di decidere se andare giù dritto fino agli interstizi polmonari, divorandola completamente, mi sono accorto – e le dico che non è da me – che mi avrebbe disturbato non saperla più al mondo. E allora mi sono diretto semplicemente nell’intestino, le ho procurato una fastidiosa dissenteria per qualche giorno, e via. Brutto ambiente, devo dire. Ma poi l’ho lasciata in pace.

Già mi vedevo i titoli del giornale: “Confessione del secolo! Il signor Coronavirus risparmia una donna cinese di cui si era innamorato!”. Mentre sono lì che fantastico sul prossimo numero in edicola, bussano dall’esterno.
“Fra 3 minuti deve chiudere l’intervista, altrimenti diventa troppo pericoloso per lei!”. Va bene, devo chiudere, ancora una domanda e poi il pezzo sarà mio.

Io: Signor Coronavirus, come ha sentito il tempo a nostra disposizione sta per scadere. Ora mi tocca farle una domanda importante, che tutti vorrebbero farle al mio posto. Quando se ne andrà? Quando la Terra potrà tornare a respirare?

Lui: Guardi, paradossalmente la Terra non ha mai respirato meglio. Non c’è bisogno che le dica che il fermo industriale e i lockdown delle più grandi città del Pianeta hanno provocato un calo dell’inquinamento senza precedenti. Sa, quando capitano cose del genere penso sempre a un individuo che improvvisamente sviene. Svenendo, riporta il corpo in posizione orizzontale, così la circolazione può riprendere. Si ricordi che la Natura non sbaglia. E in fin dei conti sono Natura anche io… Quanto al “quando me ne andrò”, come le dicevo…comincio ad essere stanco. E poi sa cos’è…mi danno la caccia in troppi. E’ diventato sempre più difficile saltellare da un umano all’altro senza farsi beccare. Avete capito il trucco, e mi state rendendo la vita molto difficile con tutte queste mascherine e i disinfettanti. Anche io comincio ad avere i miei acciacchi. Anzi, le confesso che ieri sera mi è venuta qualche linea di febbre….
Chissà che non sia arrivato il momento di fare i conti con me stesso.

Un beep sonoro ci avverte che gli ultimi 3 minuti sono andati e il tempo è ufficialmente scaduto. Mi alzo dalla sedia.
Saluto quell’esserino privo di cattiveria, stringo i miei appunti sotto il braccio e riporto me stesso e il mio scafandro fuori dalla Sala Bianca.

Sembra incredibile ma ho veramente parlato – unico al mondo! – con il signor Coronavirus. La sua voce (e il suo respiro) mi resteranno nella memoria, per sempre.

(Anna Scardovelli, Creative Director, Copywriter, ScrittoMisto, Milano)

4. IN ORBITA

La quarantena dell’astronauta solitario scorre lenta, immersa tra ricordi terrestri e dubbi futuri…

© Davide Passoni, Poesia Potente e Chitarra Tonante / Poetry Slam! Zelig Tv (Carnate, MB)

5. LEI E GLI OGGETTI

Lei, invece, trascorre la sua quarantena scrivendo tutto il tempo. E poi, negli angoli di casa, ritrova oggetti

Gli oggetti
quelli dimenticati
nei cassetti del tempo
gli oggetti impolverati,
vecchi
che avevano perso senso
li ritrovo in quest’inutile primavera
e di nuovo mi parlano.

Laura Garavaglia, Presidente de La Casa della Poesia di Como,
Direttore Artistico del Festival Europa in Versi (Como)

6. LA SPESA

Ogni giorno in città le persone si svegliano in quarantena e vanno allo loro battaglia quotidiana, con il salvopensiero: c’è chi slalomizza e chi ha il viruspanico

Cronache covid.

Andare alle 8 a fare spesa; come andare alla battaglia.
Anche se ancora in pochi, le persone si scavalcano alle zucchine, patate, mele, pane… la farina poi! Razionata a 2 kg max a persona, il lievito 1 al massimo ma… non ce ne è più.
Slalomizzo tra gli addetti che riforniscono gli scaffali e ti stanno a 50 cm; imbrocco un pallet, sbando, faccio cadere un cartone di patatine (che devo raccogliere e riposizionare sotto sguardo feroce dell’addetto).
Raggiungo la cassa… sono solo!
Esattamente sincronizzata con il mio salvopensiero arriva signora furibonda perché deve mettersi lontana da me e attendere che io abbia finito e sbraita senza mascherina… sarò almeno a 3 metri?… Il viruspanico si intrufola nei pochi neuroni reagenti.
Butto tutto nel carrello. Anche le uova! Pago digitando alla velocità della luce ed oltre e schizzo via.
Fuori c’è Sempre il sole.

Riccardo Zappelli, oculista (Macerata)

7. CERCARSI

È forse inutile cercarsi nelle città del mondo deserte, abitate solo da murales di mascherine che si baciano?

un cercarsi, inutile
pensa al cielo in zona
di guerra farsi nebbia
di passi incerti alla fine
della corsa della sete
*
cominciò senza un inizio
la città parlava lampi
nella notte un per sempre
fatto di adesso nel taglio
suturato della bic
*
bocca a bocca una distesa
di terra separava la notte
dal buio nel buio abitavamo
una città un lamento la vita
delle bestie

Piergigli Matteo, poeta, Monte San Vito (AN)

POSTUMO POSTUMANO

se dopo l’ultimo uomo
restasse solo la sua arte
anche tra tutta la schifezza
lasciata in ogni parte

del suo mondo
noncurante dell’effetto
che avrebbe avuto
sulla natura perfetta

e quindi su di lui
accelerando il degrado
e il suo declino
purtroppo di malgrado

fino alla estinzione
non sarebbe così male
anche se poi nessuno
mancando il visuale

i suoi occhi
potesse più vederla
e poveri e ricchi
nemmeno possederla

da rinchiudere
in un museo
o collezione privata
o in foto o video

ma restando per sempre
finché non sbiadisce
pian piano col tempo
e poi svanisce

una decorazione
dell’arredo urbano
una espressione
del genere umano

Anne Koornstra, impiegato, autore e paroliere (Roncello, MB), ispirato da un articolo

8.QUATTRO MURA

La “ballata della reclusione”, dentro le quattro mura della nostra giornata, spinge più di qualcuno a tornare a scrivere, in questo “racconto globale” che è la vita

Raoul Di Giovanni, informatico (Roma)

9. IL TEMPO

Il tam tam delle cronache e le canzoni di Fabrizio De André scandiscono questo nostro tempo sospeso e lunghissimo, questa partita a scacchi contro un nemico inesistente

Cronache Covid

Il Tempo

Guardo compulsivamente l’orologio, come da ragazzino.
Il tempo, come allora, non scorre in questi giorni.
È sospeso, inerte, rassegnato a rallentare senza i riferimenti del prima:
alzarsi, andare a lavoro, prendere il figlio a scuola, tornare a lavoro e, magari, uscire a cena.
Un’insensata stanchezza pervade la mente conquistando poi il corpo come inarrestabile piena, infiltrandosi nei muscoli, nelle ossa e nei sensi
spossandomi talmente che a fine giornata mi accascio nel letto con la voglia di Nulla.

Al Sole

Al sole
il pensiero rallenta
si rilassa la mente
crogiolandosi al tepore.
Le voci
intorno
come prima del sonno
confuse sempre più.
Mi lascio andare
nella culla del giorno
che scorre
lento
in questo tempo sospeso.

Gli scacchi

Dov’è? A sei metri, tre metri meno di un metro?
È il nemico che non c’è.
Sparagli Piero, sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora”….
Mi circonda! Lo so!
Non lo vedo, non lo sento… lo immagino.
Con la sua corona come una mina sottomarina pronta deflagrare.
Lo temo ma al contempo lo ammiro nella sua infinita sfinente camaleontesca capacità di moltiplicarsi modificandosi per sopravvivere.
Guerreggiamo, l’un l’altro armati, in una lotta tra estrema semplicità (Lui) ed estrema complessità (Noi); entrambi però fragili.
Partita a scacchi come il Cavaliere del Settimo Sigillo;
mossa e contromossa. Strategia complessa contro capacità di rispondere ad ogni nostro tentativo in un infinito replicarsi del suo pedante schema di attacco. Chi vince, chi perde. Solo la nostra capacità di speculare, di dettare inaudite regole fuori dal gioco, può aiutarci, momentaneamente, ad uno stallo per poi, in un attimo dare Scacco Matto!

Riccardo Zappelli, oculista (Macerata)

10. ASPRONAUTICA

È un mondo Aspro e ci troviamo a navigare tra Asperità: ora più che mai, quindi, dobbiamo essere Aspronauti con una lacrima e un sorriso

«La patafisica è la scienza delle soluzioni immaginarie… se ne sentiva generalmente il bisogno» (Alfred Jarry)

ELEMENTI DI ASPROFISICA

Il Covid19 ci ricorda che prima di arrivare alle stelle ci sono aspre avversità da saper affrontare e attraversare.

La quarantena ha accertato il mio bisogno di un’Aspronautica.

E di una introduzione all’Asprofisica.

Così come in Astronomia è peculiare l’osservazione, poiché qualsiasi esperimento diretto di contatto coi corpi Celesti è ostacolato dalle distanze, altrettanto in Aspronomia è caratteristica l’esperienza della distanza tra corpi Bluaspri.

..oggi piu’ che mai siamo corpi Bluaspri,

ci teniamo e gestiamo a distanza.

Ma non possiamo smettere di orbitare.

Attorno al mondo di chi amiamo, o chiamiamo,

Amore.

Alessio Luise, filosofo, cantautore e scrittore indipendente di situazioni grammatiche, soprattuto nella “condizione” di Luisenzaltro (Milano)

11. LO SPAZIO

Lo spazio vitale si impone al cuore dell’emergenza e il silenzio è uno scherzo di penna

Spazio

Il silenzio è padrone
Tra un metro e l’altro della distanza in questione
Ma quale virtù ha lo spazio
Se non quella del vuoto che circonda
e libera l’energia vitale:
un metro è infinitesimale
basta appena a non comprimere l’animale.
Ma quale scure è piombata sulla umana genìa
da anelare Silenzio e Spazio.
Nell’orbita stanca
di cotanta confusione di emozione,
si è insinuato il sospetto
di una micidiale conclusione.
Ma il silenzio si espande
prende tutto, anche il fiato
arriva al pensiero
e l’ha ingoiato.

Storie al tempo del Covid-19

Non riesco a comporre una storia del dolore che si sta espandendo in ogni singola vita e in tutto il pianeta, e non è solo la pandemia, sono le foreste che bruciano alberi e altri esseri viventi disperatamente trucidati, i ghiacci che si fondono, le balene che scoppiano dalla plastica ingerita, le guerre alle quali è stata messa la sordina, non riesco a scrivere una storia che la cronaca non abbia già riferita.
Seppur a me la vita ancora sorrida perché fin dalla nascita mi sono trovata in una rete di protezione e solidarietà che solo un colpo di fortuna può concedere, e con tale pensiero di fatalità, ringrazio ogni volta che metto i piedi in terra dal letto sfatto per l’insonnia, anche quella, planetaria, che ci tiene vigili verso un ignoto che incombe e che è anche troppo noto.
Non riesco a scrivere una storia, ma quando il contatto fisico sia con gli altri esseri viventi che con Gea è impedito, la storia diventa quella che ognuno sa raccontarsi. Un racconto di ricordi che improvvisamente assumono un significato arcano e prendono una direzione inaspettata, seguono un filo che non vedi, disconoscono il soggetto, vanno per conto loro, ritrovano interezza, sentimenti ed esperienze, sensazioni, odori e colori, nella parte frontale della testa che rinnova l’alleanza ancestrale con l’amigdala e ti aiuta a ricordare, come se il tempo fosse finalmente circolare. Il presente ti fa male, ma tutto quello che il tuo corpo ha vissuto prepotente si fa sentire e allora l’istinto di sopravvivenza si trasforma: nella più totale solitudine diventa un sentimento universale, l’appartenenza alla terra si palesa come un boato di avvertimento, un nuovo big ben nella tua testa.
Così la storia diventa un immenso insieme di tutte le storie conosciute e sconosciute, l’essenza si fa strada tra pensieri che come saette si lanciano nel vuoto di questo silenzio globale.
Un silenzio leggero e pervasivo, in ogni angolo ne trovi un pezzo, rotto solo dal mio amico gatto che si arrampica sulla spalliera del letto e mi accarezza la testa, poi guarda lo schermo facendo compagnia alla mia triste consapevolezza.
Nella strada i rari passanti parlano alle distanze consentite, come se fossero soli, c’è chi urla al telefono per non sentirla, questa distanza, i più bisbigliano le solite frasi quotidiane con l’aria di svelare un segreto vitale.
Anche i cani e gli uccelli hanno sguardi straniti e umidi di vento, come se questa primavera per loro fosse un presentimento.
Canta un merlo appollaiato ove nessuno lo possa disturbare, ma pochi rispondono all’appello e lui si strugge in una melodia ancestrale.
Si pavoneggia un piccione sul davanzale, finalmente nessuno lo può ammazzare.
Guardo di sbieco, per non essere invadente, la gente rada e penitente che calca con passo leggero la strada, coperto il viso e le mani, i sensi si attutiscono e sembra che tutti si muovano come funamboli su un filo.
Scopro il piacere di perdere la percezione imposta del tempo e di ritrovare il mio, quello che è rimasto dentro, mai dimenticato, finora solo ricordato con nostalgia, ora è qui e mi chiama per sospendere il giudizio ed ogni altra idea che voglia formarsi per vie traverse e cercare un senso.
Il mondo virtuale sta prendendo il sopravvento, siamo aggrappati ad un comportamento forzato dagli eventi: “stiamo vicini anche se lontani”, “andrà tutto bene”, messaggi vari di consolazione e di speranza che, si dice dalla notte dei tempi, pare sia l’ultima a morire…
E chi non ha neanche l’illusione del mondo virtuale, o è confinata a casa o in una stanza d’ospedale, si spegne piano piano quando non fisicamente, nel morale.
Ci aggrappiamo a frasi fatte e a sentire tutti quelli che possiamo, almeno per telefono, se ce l’abbiamo, ripeschiamo improbabili rubriche ancora scritte a mano, e chiamiamo, spinti da ricordi che spesso non riconosciamo, manovrati da un inconscio disorientato che ci prende la mano.
Poi l’amico gatto mordicchia la mia mano, gioca sulla scrivania e fa le fusa avvicinandosi, una carezza è tutto quello che anche noi vogliamo, una carezza te la porta il vento, e allora inizi a guardarti dentro e a vedere tutto dalla distanza imposta, trasformata in emotività sospesa, come se volassi in alto in un sogno di bambino e con acuto spirito di osservazione potessi guardare te stesso e il mondo come non l’avevi mai concepito.
La lucidità cambia sostanza, l’immaginazione si fa materia, la meditazione si insinua in ogni movimento…
per non morire dentro.

Marina Sibaud, assistente sociale, autrice (Carrara)

12. IL FUTURO

E se semplicemente il futuro fosse venuto a bussarci?

LETTERA DAL FUTURO

Ho trovato una lettera datata 14 aprile 2021, oggi è il 14 aprile 2020.
È indirizzata a me, vediamo chi l’ha scritta, ora la apro.
Sempre a me, porta la mia firma.
Inizio a leggere.

“Cara Laura del 2020,

non intendo raccontarti come andrà il tuo anno in corso, non ti svelerò i particolari, non voglio condizionare i tuoi passi e poi so che non hai questo tipo di curiosità.

La mia lettera ha uno scopo diverso.

Stai attraversando questa pandemia, stravolgendo le tue abitudini, come tutti, accettando le limitazioni imposte con senso di responsabilità, non rinunciando ai tuoi cari compagni di viaggio, i dubbi sull’opportunità o meno di certe decisioni e soprattutto sulla veridicità di un certo tipo di informazione. Ma il focus, non è neppure qui, ho deciso di scriverti per altre ragioni.

A causa dell’astensione dal lavoro, stai facendo un uso del tempo ritrovato, persino sorprendente.

Hai sgomberato il campo dalle preoccupazioni circa il futuro, sterili e poco costruttive, in quanto mancanti, fino a questo momento, di dati concreti per pensare ad una precoce ripartenza. Stai, invece, accumulando energia per i progetti futuri, dedicandoti alle tue passioni, alla lettura di tutto ciò che ti interessa e alla scrittura, buttandoti a capofitto sulla stesura del tuo secondo romanzo.

Hai curiosità, spirito di adattamento, dispiacere per chi non versa in buona salute, una leggera incoscienza, sai di non sapere e te lo fai bastare, hai accettato le incertezze, il cambio di paradigma, come lo chiami tu, hai avuto cautela, perplessità, ma mai paura.

“La paura è il vero morbo, lei è il vero nemico invisibile, se viene innescata ci trova impreparati e vulnerabili, perché siamo noi a darle vita. È una specie di fuoco amico, lo accogliamo e alimentiamo, nutriamo le sue cellule con la nostra sostanza, fino a farla diventare una nostra un’appendice. Lei, memorizza il DNA del virus, lo racconta a noi in modo distorto e noi, senza averlo contratto, ci stacchiamo dalla vita”. Anche queste sono parole tue, le riporto perché devono essere risonanti, per te.

Si, Laura, io ti seguo, recepisco le tue emozioni e ascolto i discorsi che fai con le altre persone, al telefono, su Skype, Zoom e quant’altro.

Tu non hai paura del virus, perché l’hai accettato, “lui non è un nemico, fa parte della natura come me”, sei solita dire, pur sapendo che potrebbe farti molto male. Anzi, tra i tuoi desideri inconfessabili, c’è quello di fare la sua conoscenza, poter fare un pezzettino di strada insieme e poi separarvi amichevolmente, costituendo l’uno per l’altra un’esperienza importante. Vorresti addirittura mantenerne traccia nelle tue cellule e nella tua mente, per diventare più forte e proteggere chi forte non è.

Non ti dirò come passerai questo anno, neppure ti narrerò le esperienze che farai, ma mi piacerebbe che insieme trovassimo un modo, un modo sano, genuino, che si propagasse come fa un contagio, un modo per raggiungere più persone possibili e spiegare loro che la paura è un loro prodotto, una loro creazione, è lei la vera estranea, è lei da estromettere e far scivolare via, come il bagnoschiuma sotto un getto d’acqua deciso e copioso. Naturalmente, mentre cantiamo.

Sotto la doccia, si canta.

La Laura del 2021”

Laura Ragni, life e business coach, scrittrice per passione (Tortona, AL)


13. LE STELLE

In attesa del futuro che verrà si tramandano racconti cosmici sugli uomini, dalla scoperta del fuoco alle stelle

Luccicare

Sognavo questo momento di cielo da un lampo:
la fine del tempo.
Da quando io scimmia guardai all’alto
e vidi milioni di mondi bruciare
lontano. Luccicare.
E presi il fulmine e la pietra
e appiccai le braci e dissi:
-Vedete? Noi siamo le stelle.-
Era il fuoco lì fermo.
E con fuoco nelle mani alzai le braccia
e dissi: -Vedete? Io sono la stella.-
E le stelle consumano, è risaputo.
E consumo con fiato di fiamma
ogni metro quadrato di prato;
ogni roccia è annerita,
il mare sciocco è fiaccato,
il cielo non limpido ammiro
che ha meno stelle di prima.
Io sono questo e io so che contento
sarò, solo se muoio di morte violenta:
questo fanno gli astri celesti.
E allora alle fiamme!
Bruci la terra, brucino le cose dell’uomo,
brucino le cose di Dio,
bruci ogni grammo di sale e di seta,
bruci il mio corpo e bruci anche io!
Questo è il modo che hanno a morire le stelle.

Ma no. Ancora non brillo,
il fuoco non prende e mi manca
qualcosa. Il respiro.
Non s’alza il fiammifero né l’acciarino,
il mio pugno di folgore resta abbassato,
non lo posso sollevare. Non posso,
non ho forza né fiato.
Mi accascio sul suolo rovente
mentre il mio fuoco d’intorno
ogni cosa consuma e getto
l’ultima volta lo sguardo lontano
contro le stelle: -Mi vedete?-
Ma le stelle non parlano.
Guardano. -Che fate? Ridete?-
Grido sconvolto, io, che da quando
posseggo il fuoco son pari alle stelle.
Ora il torace si alza in fretta.
La bocca aperta. L’ultimo inspirare
prima del niente, prima del vuoto,
ma ecco, ora, sì, mi parla una stella:
-Il fumo ch’è prima del fuoco
ti ha tolto il respiro, uomo.
Io non brillo, perché di fiamma m’incendio,
io brillo perché son quel che sono.-

Alessandro Porto, sceneggiatore, pensatore, avveniristico poeta, vincitore dell’X-Factor Letterario (Biassono, MB)

14. IL CINEMA

Le sale sono chiuse, in quarantena anche loro, però il cinema non si ferma e continua a creare. Così nascono film, figli dell’emergenza, ma che sanno ridere

.

 

.

 

Pasquale Capraro, artista e scrittore (nato a Gallipoli, vive a Merate, LC)

15. I PENSIERI

In quarantena nelle nostre case diventiamo installazioni artistiche viventi, ma i pensieri restano liberi di viaggiare

Pensieri in fumo

Il tempo si è arrestato.
Qui, i miei pensieri sono andati in fumo.
Ho scattato questo click per regalargli, in un istante, l’eterno che merita, come tutti i defunti!
Indelebili ricordi che non si cancelleranno mai dalla memoria, questi giorni tra le mura domestiche, come in una gabbia senza vie d’uscita.
Il focolare ospita il set dello scatto, con i suoi fumi incrostati alle pareti e i chiaroscuri del suggestivo palcoscenico dove gli attori sono oggetti del quotidiano e resti.
La foto racconta del tempo trascorso tra attesa, noia, tedio, malinconia, auspici: le cicche gettate in posaceneri desueti a mo’ di “ready made” che ospitano resti raffazzonati.
Alcune sigarette non sono state aspirate fino al termine; alcune sono spente con veemenza; altre consunte da sé, consumate dal tempo; altre ancora schiacciate dalla forza della noia.
Probabilmente, questi resti, rappresentano allegoricamente le nostre vite ai tempi della quarantena da Covid 19.
…Le vite di coloro che sono stati strappati via.
Un cimitero di ceneri e resti.
Sulla destra si intravede una piccola graticola inusata, sulla quale vi è appoggiato un vecchio vaso di fiori vuoto a simboleggiare l’immobilità e la solitudine.
A sinistra, quasi all’angolo, un tovagliolo di carta accartocciato, come le nostre esistenze, momentaneamente contratte nello spazio limitato delle abitazioni.
Sullo sfondo: una candela, luce e speranza di una nuova rinascita per tutti.
Resistiamo.
#Restiamoacasa

Carlo Solidoro, docente di materie letterarie, artista e fotografo (Gallipoli, LE)

16. FUGA DALLA REALTA’

In quarantena la scrittura si conferma terapeutica, la lettura diventa la miglior fuga dalla realtà

Pensieri alla rinfusa

Ma doveva proprio succedere in marzo? Circa un secolo dopo la devastante epidemia di Spagnola che colpì l’Europa e non solo a cavallo della Prima Guerra Mondiale, un’altra pandemia sta mettendo il mondo in ginocchio e lo fa allo sbocciare della primavera.
Marzo è sempre stato il mio mese preferito, e questo sin da quando ero bambina. Mi ha sempre affascinato il risvegliarsi della natura, le giornate che finalmente si allungano, quel buio odioso che accompagna l’inverno e che finalmente si concentra quasi esclusivamente nella notte, le gemme sugli alberi e il profumo dei fiori quando si passeggia in campagna.
Non sono una creatura particolarmente bucolica, ma metereopatica sicuramente sì: il sole che brilla in un cielo blu mi mette sempre incredibilmente di buonumore e mi fa pensare che tutto non possa che andare per il meglio.
E osservando il ritmo immutabile delle stagioni e il miracolo della Natura che si risveglia mi capita spesso di pensare a Dio.
Ricordo quando le mie figlie erano ancora piccole e partivamo alla mattina tipo armata Brancaleone per andare dai nonni, all’asilo, alla scuola elementare, con mille cose in mano, cartelle, zaino, merenda, borsa con le scarpette da ginnastica, grembiulini (e ne mancava quasi sempre uno, penso di essermi scusata con le insegnanti migliaia di volte….), e una volta sistemate in macchina le creature, ciascuna sul suo seggiolino, e l’armamentario per passare fuori casa un’intera giornata, finalmente si partiva, e guardandole dallo specchietto retrovisore sorridevo e ponevo la fatidica domanda:” Ma che cos’è una giornata di sole?” e loro, ubbidienti ed in coro, “Un dono di Dio!”.
Ovviamente, adorando il mese di marzo e la sua promessa di stagioni finalmente clementi, ho scelto di sposarmi e poi – abbastanza casualmente devo dire – ho scoperto di aspettare la mia prima figlia proprio in questo mese. Per tutti questi motivi non riesco a capacitarmi che un evento così terribile e traumatico come l’epidemia che stiamo vivendo sia esplosa proprio ora. Non so se sia una sensazione solo mia, ma sento una discrasia tra queste tiepide e soleggiate giornate di primavera e l’enormità che ci è piombata addosso. In modo abbastanza illogico penso che una cupa giornata invernale, con la brina alle finestre o una fitta nebbia lungo le strade sarebbe uno sfondo più congruo ad una pandemia.
Ma le cose stanno così, e dopo un avvio a gennaio in un paese lontano, è proprio a marzo che noi Italiani ed Europei ci troviamo a fare i conti con un’emergenza senza precedenti. Capita quindi di spalancare le finestre al mattino, scoprire in cielo tutti i presupposti per un’altra magnifica giornata e vedere che davanti a casa c’è già in sosta una macchina della polizia con i lampeggianti accesi che verifica, in un silenzio irreale, che le varie direttive per il contenimento del virus siano rispettate.
La vita ha assunto tutto un altro ritmo, e man mano che le disposizioni della regione e del governo si fanno più severe, la nostra esistenza si snoda lungo schemi sempre più rigidi, ripetitivi e limitanti.
Un po’ di spesa, un po’ di faccende domestiche, un po’ di chiacchiere via What’s App con le amiche, un po’ di tempo speso in cucina (lo stretto indispensabile ….), la lettura dei quotidiani on line “… ed è subito sera”.
Il fatto è che il giorno successivo le cose da fare sono di nuovo le medesime, ed in questo scorrere di giornate tutte uguali tra di loro, si stenta a distinguere un giorno della settimana dall’altro perché non ci sono più le attività che lo contraddistinguevano.
E mi scopro a rimpiangere la maggior parte delle mie noiosissime domeniche scandite dalla Messa, le faccende domestiche, e poi il pranzo dai nonni e infine – se Dio vuole – un lungo pomeriggio di ozio persa nella lettura, raggomitolata sulla poltrona accanto alla stufa a legna quando è freddo, o stesa sul letto davanti alla porta-finestra aperta quando fa caldo.
Per pura coincidenza, proprio pochissime settimane fa mi è capitato di leggere un libro, “La strada” di Cormac McCarthy, che racconta di un mondo reduce da una catastrofe nucleare, dove i pochi sopravvissuti cercano cibo, acqua, un modo per tirare avanti in un ambiente che si è fatto sterile ed inospitale, senza più animali viventi, dove il sole non brilla mai e la pioggia è quasi continua.

Non amo i libri della cosiddetta “letteratura distopica”, li trovo troppo cupi e angoscianti e soprattutto penso che vengano meno a quella che secondo me è la funzione primaria della letteratura, e cioè la fuga dal mondo reale per rifugiarsi in uno parallelo, diverso dal proprio, dove si può evadere per vivere esperienze che ci sono precluse, dove si può sognare, condividere storie ed illusioni, e commuoversi anche, a volte.
In momenti difficili della mia vita ho sempre pensato che i libri mi abbiano salvato, mi hanno permesso di distogliere la mente alcune ore da pensieri fissi, angosciosi, che non mi davano tregua.
Il libro per me è “la fuga” per eccellenza, il modo per scappare da una realtà che il più delle volte è solo un po’ noiosa e scontata, ed altre volte – come ora – veramente drammatica. Per scherzare, dico sempre che è l’unica fuga legalizzata e permessa dalla legge, e che non dà neanche problemi di salute.
Provoca assuefazione, certo, ma non è certo un male.
Tornando però al libro La Strada, i protagonisti sono un papà ed il suo bambino che cercano disperatamente di arrivare all’oceano, convinti che là le cose possano essere migliori. In questo paesaggio apocalittico e desolato, dove i pochi sopravvissuti cercano di derubarsi tra di loro ed arrivano a divorare i più deboli, il messaggio riesce però incredibilmente ad essere di speranza: il bimbo continua a chiedere al papà “ce la caveremo?” e lui, pur sfinito e senza più energie, risponde sempre “Sì, ce la caveremo”.
Di un libro che non ho amato e che ho terminato con un sospiro di sollievo, mi è rimasta però questa idea di fondo della salvezza, questo pensiero positivo che ce la faremo nonostante tutto: sarà dura, ma ricominceremo a vivere, probabilmente non più allo stesso modo di prima, ma riusciremo a “rammendare” la nostra società malata. E quando questo accadrà, dovremo mantenere operative e valide certe attività che ci hanno permesso di sopravvivere in queste settimane.
Abbiamo scoperto che ci sono modi diversi per fare le cose, penso allo smart-work e all’e-learning, non è necessario che torniamo alle vecchie abitudini gettando alle ortiche tutte le esperienze acquisite.
Tantissimi lavori possono essere svolti a distanza grazie ad un PC e ad una buona connessione Internet, ed il permetterlo a molti lavoratori significa semplificare enormemente la vita dei genitori con figli piccoli, di tutti coloro che si prendono cura di anziani e ammalati, liberando così tempo ed energie che si possono spendere in attività di cura ed anche di meritato svago.
E anche l’insegnamento a distanza, le classi virtuali, le interrogazioni e gli esami on line possono essere anche solo in parte mantenuti per limitare questi continui ed ossessivi spostamenti nelle città e tra le città, incidendo quindi anche così sull’inquinamento ambientale. Inoltre, i cittadini con varie disabilità, non solo quelli in età scolare, ma adulti ed anche anziani possono trarre giovamento da questo nuovo tipo di insegnamento, possono “partecipare” anche senza muoversi, possono imparare per sentirsi attivi e parte di una società vitale.
Come diceva Proust «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi». Senza volerlo, senza cercarlo, e probabilmente pure inconsapevolmente abbiamo effettuato e stiamo effettuando un viaggio che ci sta fornendo una nuova possibilità di lettura del nostro presente.
Per fare questo dovremo però cercare, tutti noi, di riscoprire un modo di stare insieme che si basi sul rispetto dell’altro, la collaborazione e l’espressione delle nostre idee in modo civile e pacato, senza rancori ed “odiatori seriali”. Possiamo provare a ricostruire una società – che dopo questa pandemia non può più essere la stessa – su basi più mature e responsabili, capendo che in un paese dove valgono solo i diritti e dei doveri ci si dimentica sempre, non si va da nessuna parte. Pochissimi giorni fa, sfogliando un libro che non riprendevo in mano da tempo, ho ritrovato questa bellissima frase di Aldo Moro: “Questo paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se nonnascerà in noi un nuovo senso del dovere.”

Maria Angela Maretti, impiegata (Mirandola, MO)

17. LA TELEFONATA

La quarantena porta con sé almeno un lato positivo, il fatto che non dobbiamo aspettarci nulla, e almeno una domanda… che forse resterà con noi per sempre

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– – https://www.dailybest.it/libri/nasce-telefonami-la-nostra-storia-collettiva-scritta-in-quarantena-inviate-testi-e-immagini/ – – “La telefonata" di Ornella Spagnulo, per la storia collettiva #Telefonami ideata da @francescocarrubbaweb – Buonasera, pronto? Mi chiamo Ornella, no, non sono un’asociale, è solo che io nella quarantena ci sto a mio agio: non mi devo confrontare né truccare, posso lasciare la casa nel disordine, tanto nessuno viene a farmi visita, i vestiti stanno lì ammucchiati su una sedia in camera da letto, dormo quanto voglio e mangio cibo preso di nascosto da casa dei miei genitori, perché non voglio fare la fila al supermercato. Il sabato non c’è il problema: “Che fare? ‘Ndò andare?”. No, niente di tutto questo. Non mi devo nemmeno trovare un fidanzato, tanto non lo potrei vedere. Le mie sopracciglia sembrano quelle di Frida e… sì, il mio senso dell’umorismo è rimasto lo stesso, cioè nullo. Ma ripeto, non è un problema, tanto nessuno mi riconosce pure quando esco. Con la mascherina e i guanti sembro un robot vestito da Carnevale. Le mie giornate sono cadenzate dal caffè, poche telefonate, computer, qualche libro, due serie tv che sono come appuntamenti amorosi e nulla… Non mi aspetto niente, questo è il bello. Mentre nella vita di tutti i giorni ti chiedi sempre, bene o male: cosa accadrà oggi? E di solito ci resti – ci resto, almeno io – male, perché non succede niente, a parte che ti sei scontrata più o meno peggio con gli altri. Con la pandemia è tutto diverso, c’è solidarietà tra noi, ma da lontano. Pensiamo a quanto dobbiamo starci lontano per non ferirci. Penso che è questo che mi porterò dietro: “Quanto dobbiamo stare lontano per non ferirci?”. – #lettura #libri #leggere #libro #libridaleggere #bookstagram #letturaadaltavoce #books #reading #booklover #leggereavocealta #videoletturevicky #consiglidilettura #librichepassione #audiolibro #racconto #letteratura #audiolettura #scrivere #narrazione #scrittoriemergenti #frasi #doppiaggio #teatro #videolettura #attore #ioleggo #scrittura #narrazione #bhfyp

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Maria Vittoria Severini, attrice teatrale (Lucca)

Buonasera, pronto? Mi chiamo Ornella, no, non sono un’asociale, è solo che io nella quarantena ci sto a mio agio: non mi devo confrontare né truccare, posso lasciare la casa nel disordine, tanto nessuno viene a farmi visita, i vestiti stanno lì ammucchiati su una sedia in camera da letto, dormo quanto voglio e mangio cibo preso di nascosto da casa dei miei genitori, perché non voglio fare la fila al supermercato.
Il sabato non c’è il problema: “Che fare? ‘Ndò andare?”. No, niente di tutto questo. Non mi devo nemmeno trovare un fidanzato, tanto non lo potrei vedere.
Le mie sopracciglia sembrano quelle di Frida e… sì, il mio senso dell’umorismo è rimasto lo stesso, cioè nullo.
Ma ripeto, non è un problema, tanto nessuno mi riconosce pure quando esco. Con la mascherina e i guanti sembro un robot vestito da Carnevale.
Le mie giornate sono cadenzate dal caffè, poche telefonate, computer, qualche libro, due serie tv che sono come appuntamenti amorosi e nulla… Non mi aspetto niente, questo è il bello. Mentre nella vita di tutti i giorni ti chiedi sempre, bene o male: cosa accadrà oggi? E di solito ci resti – ci resto, almeno io – male, perché non succede niente, a parte che ti sei scontrata più o meno peggio con gli altri. Con la pandemia è tutto diverso, c’è solidarietà tra noi, ma da lontano. Pensiamo a quanto dobbiamo starci lontano per non ferirci. Penso che è questo che mi porterò dietro: “Quanto dobbiamo stare lontano per non ferirci?”.

Ornella Spagnulo, poetessa e saggista, curatrice per Einaudi del libro “Confusione di stelle, Alda Merini” (Roma)

18. THE MASK

C’è una figura che, con o senza mascherina, emerge ancora di più in questo contesto così necessariamente pervaso dal web: la Star di Facebook. Intanto le spase di pasticcini stanno scomparendo dalle tavole degli italiani…

Pasquale Capraro, artista e scrittore (Merate, LC)

19. DISARMONIA

C’è bisogno di una scossa contro la disarmonia e la solitudine: il virus, visto da vicino, e le sue possibili conseguenze

Vorticose riflessioni

Il terribile virus vive indisturbato in ottima compagnia… divide il suo regno con la disarmonia e la solitudine: la prima predilige usare le mani per governare i suoi cari, la seconda è invece governata dalla mente che uccide i pensieri più cari. Spazi troppo piccoli per scappare e gigantesche dimore dove l’eco dei propri respiri fa persino troppa paura. Giorno dopo giorno prende piede anche la disperazione che senza armi sfodera tutta la sua dignità… finché può!

Lola Giuranna, attrice, presidente dell’associazione culturale e teatrale “La Barcaccia” di Gallipoli

. Foto di Lola Giuranna  . Foto di Lola Giuranna

Storia due

Ormai lo chiamavamo tutti solo il “Vi”,
che stava per virus, naturalmente,
dato che mutava continuamente
l’unica soluzione trovata dalla scienza ufficiale
era di interfacciarlo con il genoma individuale,
ovvio che pochi sul pianeta avrebbero avuto la fortuna
di provare a combatterlo, diventando cavie privilegiate.
Inutile dire la corsa ai laboratori specializzati con al seguito carri di capitali.
Cosa volete che vi racconti, solo i super ricchi potevano farci i conti.
Così la selezione della specie, la nostra,
era tutto meno che naturale.
La globalizzazione del sistema aveva finalmente trovato il modo
di fare a meno di tutti quelli “inutili al capitale”.
Un sistema ben collaudato per evitare sommosse:
la paura e la morte che falcidiava
non fece fare ai popoli alcune mosse.
Continua l’esperimento, fin dentro al più piccolo spazio della terra,
cloni di pseudo esseri-umani ricoperti da tute spaziali,
cercano in ogni angolo chi si rifiuta di essere trovato per mettergli un “braccialetto”,
che non è dono di fidanzato.
Ancora resistono i poveri del pianeta, in alto tra impervie montagne, o su isole non cementificate,
lì il virus non è arrivato,
ma stanno organizzando viaggi di ricchi ancora sani
che perpetrando i consueti genocidi,
colonizzeranno anche i pochi posti dalla pandemia lontani.
Così l’ultima occasione per la nostra specie di vivere in armonia con il pianeta
l’abbiamo bruciata nello spazio di un battito di ciglia,
l’eternità per ciò non si scompiglia.
E quando le mutazioni avranno raggiunto i nostri neuroni
allora di nuovo proveremo a moltiplicarci.
Piccoli schiavi di un sistema globale che non sapranno nulla
né del bene né del male, né del passato, né del futuro.
Rimarranno contenute le coorti da severi programmi di nascite controllate,
poche ma buone, buone solo se nate senza coscienza, per lavorare senza pensare
e ripristinare così il perverso ordine mondiale.
Sopravvivere allora forse non sarà più un reato,
a patto di aver praticato l’applicazione di un chip cerebrale
per far sì che neanche il pensiero possa più scappare.
Finché non sapremo andare su altri pianeti e perpetrare il nostro fine di parassita planetario,
distruggendo tutto con il consumo in ogni angolo di galassia
fino a che un buco nero non inghiotta la stirpe infame.

Marina Sibaud, assistente sociale, autrice (Carrara)

20. RICONGIUNGERSI

Durante la quarantena tentiamo “di riempire lo spazio, non siderale, ma altrettanto incolmabile” che ci separa, restando sospesi e separati

ALFA(e)BETI

 

Giovanni Monti Fantomars, artista (Bologna)

21. L’ATTESA

L’orizzonte della normalità sembra lontano: anche solo per potersi tagliare i capelli, bisogna aspettare ancora…

Pasquale Capraro, artista e scrittore (Merate, LC)

22. IL PASSATO

La verità è che di uscire abbiamo bisogno, desiderio e anche paura.

“In questo periodo penso spesso al passato. Non è propriamente un pensare, è più che altro un rigurgito di ricordi. Come qualcosa che non hai digerito e ti torna su.

E mi arriva l’asprigno di quello che ho fatto, il veleno di quello che non ho fatto, il sollievo di quello che avrei voluto fare e non ho fatto, il morso sorridente di quello che non avrei voluto o dovuto fare e invece ho fatto.

Saranno i quarantadue anni arrivati di soppiatto come questa pandemia, che mi è sembrata una cazzata e poi mi sono resa conto che eravamo nei guai davvero. O almeno così ci hanno fatto pensare. Io non so valutare l’entità di questa situazione, posso solo osservare gli effetti che ha su di me e quel tanto che gli altri mostrano di sé in rete e per strada.
Anche se io per strada non ci vado quasi mai da un po’ di tempo a questa parte.

Io so che adesso di uscire non ne ho quasi più voglia. In realtà, ne sento il bisogno e il desiderio, ma mi sono resa conto che ho paura. Di mettere il naso fuori di casa.
Paura come se l’aria potesse farmi male, infettarmi.
Come se stare al sole potesse sciogliermi.
Come se potessi nuocere ad altri umani solo con i miei passi.

In questo periodo penso spesso ai miei due nonni, gli unici che ho conosciuto.
Sono morti da anni. Ultimamente, li sogno, a volte anche da sveglia.
Mi accorgo di annegare in ricordi insignificanti, in piccoli episodi d’infanzia: una carezza che sa di crema, io sul seggiolino della bici con il nonno, le fontane colorate, l’odore di parquet del teatro prima del saggio di danza, i gelati color puffo, i biscottini della Teresa, la lattaia. L’odore di mobili vecchi, gli angoli bui, i cerchietti delle tapparelle sul soffitto, la carta da parati con le macchinine d’epoca, il sangue al naso sul cuscino, i libri gialli della nonna, le parole crociate con le bic, i cesti con l’immancabile lavoro ai ferri, il sapore dei biscotti sciolti nel latte, i lego sparsi sul tappeto. E il mercato del giovedì, noioso e necessario.

E penso a come sono cambiate le cose, a quanta vita è passata tra quei giovedì sempre uguali a sé stessi e questa domenica silenziosa dove solo il calicanto sembra potersi muovere.
E io lo guardo da dietro la finestra, perché non voglio nemmeno uscire in terrazzo.
Non posso. Non ho voglia di parlare con i vicini. È che non mi interessa. Non voglio essere costretta anche in questo. Non voglio dover dire le solite frasi di cortesia e ascoltare cose che non mi interessano quasi senza dubbio.

Un’altra cosa che so è che questo cambierà: quando torneremo alla normalità, tutto sarà cambiato e ne approfitterò per cambiare anche il mio approccio alla socialità.
Non posso più fingere. Non è cortesia né rispetto.
Devo solo imparare a farlo senza ferire le persone. E qui, ho molto molto lavoro da fare. Studiare crescita personale e meditazione non mi aiuterà. O forse sì. Io sono convinta di sì. Perché se cambio io, cambierà anche il mio approccio agli umani.
Non è forse così? Sì, dev’essere così.

In ogni caso, sono stanca. E oggi ho anche pianto.
Senza preavviso senza far rumore mi è arrivata addosso un’ondata di paura del futuro.
Come se tutta quanta l’incertezza di questi giorni mi avesse sommersa in un istante.
Mi sono sciolta in un breve pianto dirotto sulla spalla possente di mio marito.
Ed è passato tutto. Quasi tutto, perché il retrogusto di quella paura mi è rimasto appiccicato alla lingua. Come il mal di gola quando sta per arrivare.

E sogno di incontrare mia nonna e raccontarle la situazione che stiamo vivendo.

«Nonna, sai che siamo tutti chiusi in casa da quasi due mesi? Non possiamo uscire e, se usciamo per andare a comprare il cibo o qualche medicina, dobbiamo metterci la mascherina come quella dei dottori quando ti devono operare. E al supermercato ci fanno entrare pochi alla volta e ci fanno mettere i guanti. E gli ospedali non erano pronti per tanti malati tutti in una volta. E alla tv parlano solo di questo anche se in effetti i morti per altre malattie sono di più. Non so molto e sono anche un po’ stanca di leggere e vedere ovunque solo e sempre gente che parla di questa situazione e del futuro. Quando mi affaccio alla finestra vedo spesso delle persone, alcune con la mascherina, alcune no. Alcune a spasso con il cane, alcune in tenuta da jogging. E sono triste perché ero abituata a correre e passeggiare tutti i giorni per un’oretta e adesso me ne sto chiusa in casa e non posso andare nel sottomura a correre. E mi rendo conto di essere egoista a pensare questo. Ma non ci posso far niente se sento un groppo alla gola quando penso alle mie passeggiate. Alla corsa silenziosa sul sentiero stretto in mezzo all’erba. Al tempo che si ferma nello sforzo. Ai passi che si succedono calmi, imperturbabili, ostinati.

C’è questa malattia contagiosa in giro ed è sparsa in tutto il mondo. E noi non sappiamo come affrontare questa situazione e quindi andiamo per tentativi, proviamo diverse cose per vedere cosa funziona e cosa no. E credo che non sappiamo un tubo di quello che sta succedendo davvero. Ho paura che sia così. E non ho idea di cosa posso fare io per migliorare la situazione. So che non voglio ammalarmi e non voglio far ammalare nessuno. Banalmente.
Delle volte, penso che mi piacerebbe avere un pianeta tutto mio in cui rifugiarmi quando mi sento così. Una bella luna bianca e silenziosa e calma e lontana da tutto questo trambusto.»

E invece sono qui. Qui a respirare piano cercando di restare in equilibrio sul mio filo invisibile che mi collega a tutto il resto”.

Emma Frignani, comunicatrice (Ferrara)

23. L’UOMO

“Riposano i sensi e il senso si è smarrito tra i rami come un aquilone…”

SE

Se potessi togliere la maschera ai sentimenti
e scoprire così tutti i sensi,
quale antico gioco mi verrebbe in soccorso?
Drammatizzare e sdrammatizzare alla fine del vicolo si incontrano e fanno pace,
il banale e l’assurdo anelano alla patafisica.
Riunite sotto l’unica paura di morire
tutte le voglie di vivere.
“Ce l’hai, stai sotto tu ora,”
lo scatto nella corsa fa muovere gambe esili incontro al vento,
perché esili ritornano, a dispetto del tempo,
rugose le carni si ammorbidiscono all’aria:
quella non respirata, quella anelata, quella ricordata,
quella rarefatta da un insolito buon umore.
Si espande la solitudine, fa da coltre ai pensieri
Riposano i sensi e il senso si è smarrito tra i rami come un aquilone.
Rimane un sogno, diventa visione
e tutte le ombre colorate che accompagnano l’istinto
lo elevano a saggezza,
non per magia, né per coscienza,
solo per un mero
bisogno di sopravvivenza.

Marina Sibaud, assistente sociale, autrice (Carrara)

Alessandro Morelli, cantautore “Elvis Cobalto”, scrittore, videomaker (Latina)

24. FASE 2

Per chi non torna al lavoro, la Fase 2 somiglia molto alla Fase 1…

Dissolti gli argini
il tempo gocciola dalle pareti delle stanze riempite dal silenzio
si raccoglie in pozzanghere di situazioni
dove i gesti abituali diventano riti
liberati dalla pressione del dopo.
L’assenza della sofferenza e di dubbi sul futuro mi regalano uno spazio sospeso.
Il profumo scuro del caffè e il sapore caldo della sigaretta
e mi immergo in un vuoto sconosciuto, gonfio di possibilità.

Loredana Bianchi, Paderno Dugnano (MI)

25. RICORDO INTERSPAZIALE

E tutto sarà ricordo svanito

Scambiarci figurine dei tramonti
persi, sarà il nuovo sport nazionale:
le più rare avranno i raggi calanti
del sole a sera sul crollo dei ponti
e un file sonoro delle campane
tornate troppo spesso a rintoccare

I collezionisti di mascherine
nei raduni mensili dedicati
le indosseranno come ai tempi andati
ricordando il boom di disoccupati

Nasceranno corsi per abbracciarsi
con dieci migliaia di candidati
la prima prova per gli innamorati
nei talent show sarà saper baciarsi

Tenersi la mano per un minuto
diventerà il segnale convenuto
dell’affetto del mondo rifiorito
e tutto sarà ricordo svanito

Francesco Carrubba, giornalista e autore

Giacomo Carrubba, pittore per hobby

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