È ufficiale: il referendum sulla giustizia si svolgerà in due giorni consecutivi, domenica e lunedì, un cambiamento volto a favorire una maggiore partecipazione degli elettori. A sancirlo è stato il Consiglio dei Ministri guidato da Giorgia Meloni, che ha approvato il decreto legge con le “disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali e referendarie dell’anno 2026”.
La Corte di Cassazione, a novembre 2025, ha autorizzato quattro quesiti referendari relativi alla riforma della giustizia promossa dal Ministro Carlo Nordio. Ora, entro marzo 2026, gli italiani saranno chiamati alle urne per un referendum confermativo che riguarda una riforma costituzionale già adottata in doppia lettura dal Parlamento, ma che richiede il consenso popolare per la sua definitiva approvazione.
Le novità del referendum sulla riforma Nordio
Il referendum si concentrerà su alcuni punti cardine della riforma: la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, il nuovo sistema di nomina dei membri del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) tramite sorteggio, l’istituzione di un secondo CSM dedicato esclusivamente ai pubblici ministeri e la creazione di un organo terzo, l’Alta Corte Disciplinare, che avrà il compito di vigilare sull’operato di entrambi i Consigli Superiori.
Il quesito che sarà sottoposto al voto è quello presentato dai deputati del Centrodestra, giudicato il più equilibrato e tecnico: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare’ approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 30 ottobre 2025?”.
Si tratta di un referendum confermativo, dunque non è previsto il quorum e non sarà necessario un giudizio di ammissibilità da parte della Corte Costituzionale, differenziandosi così dai tradizionali referendum abrogativi.
L’iter per l’indizione del referendum è chiaro: dopo l’ok della Cassazione, il Consiglio dei Ministri avrà 60 giorni di tempo per richiedere ufficialmente al Presidente della Repubblica l’indizione del referendum. Il voto si dovrà quindi tenere tra il quarantesimo e il settantesimo giorno successivo alla pubblicazione del decreto di indizione in Gazzetta Ufficiale.

Si prevede che la consultazione referendaria si svolgerà tra marzo e aprile 2026. Gli elettori favorevoli alla riforma dovranno esprimersi con un “Sì”, mentre chi si oppone dovrà votare “No”. Questa chiarezza evita la confusione tipica dei referendum abrogativi, dove spesso il “Sì” significa cancellare una norma e il “No” mantenerla.
I sostenitori del “Sì” ritengono che la riforma sia un passo necessario per rendere il sistema giudiziario più moderno, trasparente e comprensibile ai cittadini. La separazione delle carriere viene vista come un modo per garantire maggiore imparzialità: giudici e pubblici ministeri avrebbero percorsi professionali distinti, evitando possibili sovrapposizioni di ruoli e culture. Lo sdoppiamento del CSM, secondo i favorevoli, permetterebbe una gestione più ordinata delle nomine e delle carriere, mentre l’Alta Corte disciplinare introdurrebbe un organismo più specializzato e indipendente per valutare eventuali comportamenti scorretti. Per chi sostiene il “Sì”, il referendum rappresenta un’occasione per correggere squilibri storici e avvicinare l’Italia a modelli già presenti in altri Paesi europei.
Il fronte del “No” considera invece la riforma un rischio per l’equilibrio costituzionale e per l’indipendenza della magistratura. La separazione delle carriere, secondo i contrari, creerebbe due corpi professionali troppo distanti, indebolendo la cultura comune della giurisdizione che oggi garantisce un approccio unitario alla funzione giudiziaria. Lo sdoppiamento del CSM e l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare vengono percepiti come elementi che potrebbero aumentare l’influenza del potere politico sulle nomine e sui procedimenti disciplinari. Per il “No”, la riforma non affronta i problemi reali della giustizia – come la lentezza dei processi e la carenza di personale – e rischia invece di compromettere l’autonomia dei magistrati.
Il referendum del 2026 sarà quindi un momento cruciale per il futuro della giustizia in Italia, con un quesito che, pur essendo tecnico, ha implicazioni profonde per l’intero sistema giudiziario nazionale.

