Conservare in modo corretto i documenti medici è essenziale non solo per la salute individuale ma anche per esigenze legali, fiscali e amministrative. Referti, cartelle cliniche, radiografie, ecografie e certificati non sono soltanto testimonianze di un percorso di cura: sono documenti ufficiali, con valore giuridico, che vanno conservati secondo regole precise. Le normative italiane stabiliscono tempi di conservazione differenti in base alla tipologia del documento, alla struttura che lo ha prodotto e alla finalità per cui è stato emesso. Avere accesso a questi dati permette ai medici di disporre di un quadro clinico completo, evitando errori diagnostici o terapie inappropriate. E per i pazienti, può fare la differenza tra ottenere un rimborso, una cura più rapida o il riconoscimento di un diritto.
Referti, immagini e cartelle cliniche: cosa dice la legge
La circolare del Ministero della Sanità del 19 dicembre 1986 stabilisce che le cartelle cliniche e i relativi referti devono essere conservati senza limiti di tempo. Questo vale per tutte le strutture sanitarie, pubbliche e private, ed è una garanzia per il paziente: in qualunque momento, anche a distanza di decenni, può richiederne una copia. Per le immagini diagnostiche, il Decreto Ministeriale del 14 febbraio 1997 stabilisce che radiografie, ecografie e altri esami iconografici devono essere archiviati in modo sicuro e rintracciabile. Se il paziente non riceve copia al momento dell’esame, la struttura è tenuta a conservarle almeno per dieci anni.
Nel caso specifico dell’idoneità sportiva agonistica, il DM del 18 febbraio 1982 prevede che la documentazione venga conservata per cinque anni. In generale, però, per tutto ciò che rientra nella documentazione clinica ospedaliera – comprese analisi, visite specialistiche, referti di pronto soccorso e lettere di dimissione – l’obbligo è quello della conservazione illimitata, sia in formato cartaceo che digitale. La digitalizzazione, sempre più diffusa, ha il compito di garantire accessibilità, sicurezza e tracciabilità, senza sostituire l’obbligo di conservazione originaria.

I pazienti possono richiedere una copia della cartella clinica presso la struttura di ricovero. La richiesta si presenta in forma scritta, anche online dove previsto, e deve essere evasa entro 30 giorni. Nella maggior parte dei casi, si richiede una marca da bollo e un rimborso spese per la copia. I documenti medici non servono solo in ambito sanitario: possono essere fondamentali in cause per responsabilità medica, richieste assicurative, detrazioni fiscali e verifiche legali. La legge riconosce loro pieno valore giuridico.
Conservazione domestica, obblighi fiscali e invalidità: cosa fare a casa
Anche a casa, la conservazione dei referti deve seguire una logica precisa. Dal punto di vista fiscale, la documentazione sanitaria utile per ottenere detrazioni IRPEF va conservata per almeno cinque anni, in caso di eventuali controlli. Per questioni legali, come nel caso di un ricorso per malasanità o una richiesta di risarcimento, è consigliabile mantenere copia dei referti per almeno dieci anni, anche se non esiste un obbligo esplicito per il cittadino.
Chi soffre di patologie croniche dovrebbe organizzare un archivio personale dei documenti più rilevanti, preferibilmente anche in formato digitale. In caso di cure all’estero, può essere utile tradurre i principali referti in inglese. Molte compagnie assicurative richiedono una documentazione dettagliata prima di autorizzare spese sanitarie o attivare coperture. In mancanza di documenti, i tempi si allungano e le autorizzazioni possono essere rifiutate.
Per quanto riguarda i certificati per l’invalidità civile, la procedura prevede che il certificato medico che attesta lo stato di salute sia valido per 90 giorni. In quel periodo, va presentata domanda all’INPS per l’avvio della pratica. Se si supera questa finestra temporale, il paziente dovrà ottenere un nuovo certificato. Anche in questo caso, è fondamentale archiviare correttamente tutta la documentazione: verbali, richieste, certificati e comunicazioni, perché sono spesso richiesti anche anni dopo per aggiornamenti, ricorsi o revisioni.
Le strutture sanitarie hanno l’obbligo di conservare gli originali. I pazienti, invece, hanno il dovere di custodire le copie, perché in molte situazioni – sanitarie, assicurative o legali – sono loro i primi a dover dimostrare diagnosi, date e cure ricevute. Una gestione ordinata dei documenti sanitari non è solo prudente, ma può evitare problemi reali nel momento in cui serve davvero.