Brutte notizie per i docenti italiani che hanno insegnato nelle scuole paritarie: la loro esperienza professionale non sarà riconosciuta ai fini della carriera e della progressione economica nel settore pubblico.
La Corte di Giustizia Europea ha infatti emesso una sentenza definitiva che respinge i ricorsi in materia, confermando la validità della normativa italiana che esclude gli anni di servizio nelle paritarie dal calcolo dei punteggi per l’immissione in ruolo e gli scatti stipendiali.
Sentenza della Corte di Giustizia Europea: motivazioni e impatto
Con la pronuncia del 4 settembre 2025 (causa C-543/23, Gnattai), la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che la legge italiana, contenuta nell’articolo 485 del D.lgs. 297/1994, non contrasta con il diritto comunitario. Solo il servizio prestato nelle scuole statali può essere considerato ai fini della ricostruzione di carriera e della progressione economica. Pertanto, gli anni di insegnamento nelle scuole paritarie non potranno essere equiparati o riconosciuti.
La Corte ha motivato la decisione sottolineando come le scuole paritarie, pur fornendo un servizio pubblico, differiscano in modo sostanziale dalle scuole statali per quanto riguarda l’organizzazione, lo status giuridico del personale e il finanziamento. La normativa italiana, che opera una distinzione tra servizio statale e non statale ai fini del punteggio, è considerata legittima e non discriminatoria secondo i principi europei. Inoltre, la Corte ha ribadito che ogni Stato membro ha il diritto di adottare un sistema di reclutamento basato sul merito e sull’esperienza maturata esclusivamente nel contesto della scuola statale.
Questa sentenza rappresenta un duro colpo per circa 300 mila insegnanti che avevano riposto speranze nel riconoscimento degli anni trascorsi nelle scuole paritarie, spesso in condizioni di lavoro più precarie e con stipendi inferiori rispetto al settore pubblico. Chi ha insegnato nelle paritarie e successivamente è stato assunto nella scuola statale non potrà più far valere quei periodi di servizio ai fini economici o di carriera.
Il pronunciamento è definitivo e non impugnabile, sancendo la non utilità degli anni di insegnamento nelle paritarie per il calcolo del punteggio nelle graduatorie e nelle procedure di mobilità. Questo ha un impatto diretto, penalizzante e di fatto elimina le aspettative di avanzamento di carriera per molti docenti. La sentenza, pur chiudendo il contenzioso giudiziario, lascia aperto il dibattito politico e sociale. Tra i sindacati più attivi c’è Anief, che ha promosso centinaia di ricorsi in difesa dei diritti dei docenti delle paritarie.

Il sindacato ha definito la sentenza come un “capitolo chiuso sul piano giudiziario, ma non su quello politico” e auspica un intervento legislativo che possa valorizzare anche il servizio prestato nelle scuole paritarie ai fini della carriera. La questione è dunque rimandata al Parlamento, dove si dovranno discutere proposte di legge finalizzate a superare questa disparità di trattamento. Sarà importante valutare le posizioni delle organizzazioni sindacali e del Ministero dell’Istruzione per comprendere come evolverà il confronto.
Va ricordato che la Corte Costituzionale italiana, già con la sentenza n. 180 del 2021, aveva dichiarato legittima la normativa che esclude il servizio nelle paritarie dal punteggio per la mobilità, ritenendo che questa differenziazione non violasse l’articolo 3 della Costituzione in materia di uguaglianza. Dal punto di vista giuridico, la vicenda sembra conclusa, ma sul piano sociale ed economico permane un forte malcontento. La sentenza evidenzia una disparità sostanziale tra chi ha insegnato sempre nella scuola statale e chi ha dovuto “fare esperienza” nelle paritarie, spesso con condizioni lavorative più svantaggiose e stipendi inferiori.
Molti docenti e rappresentanti sindacali considerano questa situazione una vera e propria “ingiustizia sostanziale”: gli anni di lavoro effettivo e di esperienza didattica nelle paritarie non vengono riconosciuti quando si accede al pubblico impiego, creando un divario che sembra politicamente e socialmente ingiustificabile. L’auspicio è che si avvii una riforma legislativa profonda, capace di riconciliare i diritti di migliaia di insegnanti e di valorizzare il loro percorso professionale, al fine di colmare un gap che oggi appare penalizzante e anacronistico.