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Il Capodanno mi mette ansia

C’è poco da fare: le feste comandate mi buttano giù. Sarà perché i figli unici sono di per sé inclini alla depressione, che di questi tempi si ripresenta con l’IVA al 22%, in ogni caso, le mie vacanze di Natale non sono mai vanziniane.

Tipo: la cena di Natale in famiglia, ok. A casa mia siamo in quattro, babbo, mamma, nonna e io, si fa anche presto. Il pranzo di Natale in famiglia: sempre i soliti quattro, avanzi, alcol. Santo Stefano in famiglia: di nuovo in quattro, facce assenti, dubbi di varia natura, tra cui il motivo dei festeggiamenti. Non appena finita la combo 25-26, inizia a serpeggiare quell’oscura domanda che ormai si fa solo a denti stretti, con la vacuità negli occhi e toccando anche un po’ ferro, per via della possibile fuga di malocchio che si sprigiona naturalmente una volta pronunciata la formula magica: “Cosa fai a Capodanno?”

Io di Capodanni brutti ne ho fatti davvero tanti e altrettanti non me li ricordo nemmeno, quest’anno viene pure di mercoledì, quindi la migliore delle opzioni sarebbe “sticazzi, giorno come un altro” e via. Ma non è mai così. Il 31 dicembre si veste di tutte le aspettative che possano redimere “i fallimenti che per tua natura normalmente hai attirato” per dirla con Battiato, durante tutto l’anno. La notte più importante di tutte le notti, la festa che non finisce mai.

Io nel tempo ho sviluppato la teoria secondo la quale tanto più il Capodanno è organizzato, studiato, elaborato e divertente, tanto più l’anno conseguente sarà una merda colossale. Lo so perché l’anno scorso mi sono divertito e l’arroganza di quel gesto l’ho ripagata durante tutto un anno di sfighe puntualissime e micidiali. D’altro canto, mi ricordo l’anno in cui il mio Capodanno raggiunse i cancelli dell’Inferno: immagina una festa in casa a Bologna, conosci qualcuno ma proprio pochi, bevi come un irlandese ricoperto di pannelli solari e poi, ma tipo alle 11 e 20, ti viene da vomitare fortissimo. Ecco,  in preda alle visioni decido di tornare a casa mia, che dista mezza città dall’evento. Dopo la traversata, entro, trovo la tipa che mi piace da sempre e che è fortuitamente mia coinquilina con uno a limonare duro, mi scuso per essere nato, vado a vomitare in bagno e torno in macchina. Resto in coda tra i caroselli e tra le bombe carta, riesco a tornare alla festa dopo tipo un’ora, tre quarti della gente era già andata a ballare facendo perdere ogni traccia, tra cui tutti i miei amici. Mi sono svegliato l’1 mattina dopo aver dormito in terra vestito, tra le bottiglie vuote, le sigarette e, nel cuore, Il Nulla della Storia Infinita. Oh, però quell’anno poi fu soddisfacente. Il trucco è quello di raggiungere il punto massimo di delusioni possibili, nel momento in cui dovresti essere felicissimo. Dopo, ti sembrerà tutto una passeggiata di salute. È una cosa da zen di provincia, garantito che funziona.

 

Se anche voi soffrite della sindrome “faccio finta che non me ne freghi niente di Capodanno ma in realtà muoio dentro” sappiate che non siete soli. Trovate quelli come voi, guardateli negli occhi e tirate fuori tutto il vostro dolore. Andate a cena insieme, sparate le miccette, recatevi nei luoghi affollati coi cappellini buffi in testa, fàtelo quel cazzo di trenino, andate a vedere i Subsonica in piazza, o i Pooh se vi piacciono di più. Entrate nei club e se il dj mette “Heroes” di Bowie,  piangete tutti i liquidi che avete in corpo, così poi potrete bere di più. Trovate l’amore, dichiaratevi ed arrivate in seconda base, poi guardate l’alba insieme mano nella mano e promettetevi tutto. Oppure scendete dall’Unicorno e preparatevi ad affrontare il Capodanno vero, tenendo presente la teoria di cui sopra.

 

 

Simone Stefanini

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Simone Stefanini

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