Perché l’addio di Totti alla Roma ha commosso anche chi non segue il calcio

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Domenica scorsa non c’è stato italiano che non abbia visto le lacrime di Totti nel suo ultimo giro di campo come capitano della Roma. “Il tempo ha deciso”, da detto con voce tremante al microfono, di fronte allo stadio pieno di 60 mila tifosi che piangevano a fontana. Il pianto senza freni der pupone con la musica del Gladiatore sotto, l’abbraccio coi figli con sotto la canzone del Re Leone cantata da Elton John e preferita alla versione comunque godibile di Spagna, capitan futuro (da 15 anni) De Rossi scioccato, Spalletti che per far vedere che piangeva anche lui deve aver nascosto le cipolle nel taschino, Ilary accanto a Francesco e Sabrina Ferilli e Carlo Verdone tra il pubblico, la musica di Ennio Morricone e il primo piano alla faccia di Totti  che sembra sempre sul punto di prenderti per il culo, e che invece si lascia andare completamente e te con lui. Poi dagli altoparlanti dell’Olimpico è partito a tutto gorgheggio Venditti e lì hanno pianto anche i disidratati, hanno iniziato a parlare romano anche gli aborigeni australiani, in un singalong su ROMA ROMA ROMA che ha fatto venire la pelle d’oca anche all’erba del campo. Striscioni: Certi amori non finiscono, Un capitano, Speravo de morì prima.

 

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“Ci siamo, è arrivato il momento che speravo non arrivasse mai” dice al microfono, “ho pianto sempre, tutti i giorni, da solo come un matto.” Decido che gli voglio bene anche se non lo conosco per niente. Sono in treno, lo guardo in diretta su Facebook, mi si inumidiscono gli occhi, per un’empatia che non credevo di avere. “A un certo punto della vita si diventa grandi, così mi hanno detto che il tempo l’ha deciso. Maledetto tempo.” Sono a due secondi dal piangere anch’io davanti a una ragazza di Santo Domingo appena arrivata in Italia con la figlioletta che dorme in braccio. Mi sembra tutto bellissimo e insieme triste da non farmene una ragione.

“Questo tempo è venuto a bussare sulla mia spalla dicendomi: dobbiamo crescere, da domani sarai grande.”

 

 

 

Madonna che mazzata, di quelle che ti aspetti come il ritornello di una canzone che hai ascoltato mille volte e che ti ha sempre commosso. L’ha detta, ha detto la verità. Francesco Totti ha un anno meno di me, quindi la sua carriera si è sviluppata anche intorno alla mia vita di tifoso sporadico, non romanista, assolutamente discontinuo e spesso disinteressato.  Uno di quelli che conosce Totti per le barzellette in tv, la mossa “4, muti e a casa”, qualche goal di quelli top, il cucchiaio, i fallacci in trance agonistica e il rigore che c’ha fatto passare il turno ai Mondiali di Berlino. Eppure di nuovo, un po’ com’è successo con la morte di Chris Cornell pochi giorni fa, si celebra un funerale della giovinezza, questa volta tutto italiano.

Come nella scena di una serie tv, si vedono scorrere mentalmente tutte le diapositive della vita, dal motorino in due ai caroselli del 2006, un tripudio di gelati e bottiglie di vino, di abbracci casuali e di urla senza voce, di albe che non si dimenticano più. Poche sono state le costanti di questi anni altalenanti e il calcio, massimo passatempo nazionale, ha appassionato meno gli idealisti, quelli che vorrebbero vedere Del Piero ancora alla Juve.

 

 

 

Il romano Claudio Baglioni nel 1977, anno del punk in Inghilterra e di piombo in Italia, canta di quando ci si lascia con l’amata ma ci si vuole sempre bene e lì per lì si fa quelli forti, che non accusano il colpo ma poi, quando lei si gira e va via, ci si va sotto un anno o due. “Lascia che sia tutto così, e il cielo sbiadiva dietro le gru. No non cambiare mai e abbi cura di te, della tua vita del mondo che troverai.”

Quel “Non cambiare mai” che nella società liquida descritta da Bauman è l’unico valore di chi non sa adattarsi, e in pochi sono davvero preparati per diventare grandi. Nell’addio alla maglia di Totti, che professionalmente non ha cambiato mai, c’è tutto il malessere degli ultimi romantici. Per quanto consolatorio o reazionario possa sembrare, quando si smette di giocare ci si sente persi, ed è un sentimento talmente diffuso che è stato catartico poterlo condividere con questa cerimonia simbolica, di uno che in quell’unico caso ha fatto togliere la maglia d’appartenenza a tutti, per condividere lo stesso sentimento.

“Aiutatemi a non avere paura” dice Totti e non c’è frase che potrebbe riassumere meglio questo stato d’animo.

 

Simone Stefanini

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