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Si può davvero diventare pornodipendenti?

 

Quello della pornodipendenza è un tema molto articolato e, al tempo stesso, delicato. I tabloid spesso dedicano intere pagine a nomi noti del mondo dello spettacolo  – i più quotati di solito sono Mel Gibson, Charlie Sheen, Cameron Diaz e Tiger Woods – ma spesso non c’è mai un vero riscontro oggettivo a tali insinuazioni.

Recentemente ha fatto notizia il coming out del comico e ex giocatore di football americano Terry Crews che, direttamente dalla propria pagina Facebook, ha dichiarato di essere pornodipendente da quando aveva 12 anni e che tale comportamento gli ha causato problemi decisamente gravi – “la pornografia ha rovinato la mia vita, in diversi modi”,  dice Crews  – non solo per lui ma anche per la sua famiglia.

Dirty Little Secret

Pubblicato da Terry Crews su Giovedì 11 febbraio 2016

 

Ovviamente quando si parla di queste cose c’è anche un’importante questione etica che riguarda molti temi diversi, in primis il ruolo e la figura della donna nei film hard. E lasciamo perdere anche le tante statistiche che tenterebbero di quantificare le dimensioni della pornografia in rete – quanti siti sono presenti, quante ricerche al giorno, ecc – perché sono spesso discordanti e difficili a prendere sul serio. In questa sede, però, preferiamo rimanere aderenti all’osservazione del fenomeno dal mero punto di vista clinico, già di per sé molto complesso.

Non c’è un parere univoco e chiaro sul fatto che la dipendenza dalla pornografia possa essere considerata a tutti gli effetti una malattia. Secondo il sito Psychguides.com – che offre anche un numero di soccorso gratuito per chi ha problemi psicologici – questo tipo dipendenza esiste eccome: può derivare sia da fattori genetici, psicologici (e legati quindi a patologie come la depressione, l’ansia ed i comportamenti compulsivi) o inerenti al modo di come ognuno di noi reagisce all’interno della propria rete sociale.

Secondo il sito, l’eccessivo utilizzo di materiale pornografico avrebbe un effetto tale sul nostro cervello da alterare il rilascio di dopamina e creare addirittura gravi danni a livello neurologico.

 

 

Di contro c’è tutta una serie di studi che, pur provando a prendere il tema da più punti di vista, si ritrovano a costatare che non ci sono prove a sufficienza per accertare che la dipendenza dal porno possa essere considerata una patologia.

La prestigiosa American Psychiatric Association, ad esempio, non è mai riuscita a dimostrarlo: i suoi studiosi hanno affermato in più occasioni che l’eccessivo uso di pornografia può essere certamente considerato un problema ma, a loro avviso, non è possibile definire in maniera univoca a che livello deve essere considerato pericoloso per una persona.

Uno studio del 2013 ha osservato le risposte di determinate onde cerebrali che si creano quando guardiamo un’immagine pornografica e le ha confrontate con quelle generate dall’utilizzo di sostanze stupefacenti, concludendo che non si può parlare di dipendenza ma più di una serie di atteggiamenti compulsivi.

 

 

Insomma, non è terreno facile, sia perché non è possibile individuare un metodo preciso per studiarlo, né tanto meno si può trovare una persona che non abbia mai fatto uso di pornografia in vita sua e prenderla come modello per definire, invece, cosa significhi abusarne. David Ley, lo psicologo autore del famoso libro The Myth of Sex Addiction ha sempre accusato studi di questi tipo definendoli approssimativi, limitati e carenti di obiettivi precisi.

Certo non lascia indifferenti il fatto che un bestione alto un metro e novanta decida di dire ai suoi sette milioni di fan su Facebook una frase pesante come: “Se si passa dal giorno alla notte e tu li stai ancora guardando, è probabile che tu abbia davvero un problema”. Come si dice spesso, il primo passo per risolvere un problema è ammettere di averlo.

[via qz.com]

Sandro Giorello

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Sandro Giorello

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