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Mi hanno rubato la bicicletta e non mi sono ancora ripreso

Innanzitutto voglio scusarmi con voi se sto facendo della mia vita un’opera d’arte, ma ancora una volta parto da uno spunto personale per parlare di qualcosa che riguarda tutti. Perché da che mondo è mondo le biciclette vengono rubate e se non ti è capitato mai, vuol dire che sei tu il ladro, quindi facciamo i conti dopo.

Io sono stato fortunato, non lo nego. Nei miei primi 40 anni non mi era stata mai rubata. Sarà perché ho sempre avuto degli accrocchi che chiamare biciclette è pietismo, delle robe col telaio da mountain bike, il cestino davanti, i molloni da cross e il manubrio della Graziella, di cento colori spaiati tutti saldamente tenuti insieme da uno strato di ruggine talmente spesso da provocare la morte istantanea di Enzo Miccio. Comunque mi portavano a destinazione e le ritrovavo sempre dove le avevo parcheggiate.

Domenica scorsa invece è successo l’irreparabile. La mia bici nuova, fiammante (da donna del valore di 200 euro, non v’immaginate una Cannondale che costa più di una Panda), era stata portata per la prima volta al mare. Insieme stavamo benissimo. Lei mi faceva sentire bello, non mi faceva dolere la schiena (che per noi vecchi è la conditio sine qua non dell’acquisto della bici) aveva le lucine davanti e dietro e pure il cestello per portare lo zaino. Fluiva serena come la vita di un monaco zen e il cambio era talmente ben regolato da non farmi mai sentire la fatica. Mastrota ne sarebbe stato fiero. Era talmente bella che di notte la immaginavo coi seni e coi capelli al vento, come simbolo femminile di bellezza e di indipendenza. Non le avevo ancora dato un nome perché l’avevo acquistata tre giorni prima e non avevo avuto il tempo materiale. I miei amici non l’avevano nemmeno ancora vista. Era il debutto ufficiale.

L’ho parcheggiata legata ad un cartello di legno spesso, di quelli che danno le informazioni in pineta, a due passi dal mare, per non farle prendere il salmastro che poi le avrebbe increspato i capelli. Una gentilezza, la mia, che mi sarebbe costata cara.  Una volta saldamente incatenata, sono andato a fare un bagno, col magone. Passata nemmeno un’ora, ho deciso di andare a trovarla, perché già mi mancava. Non c’era. Aspetta, non c’era nemmeno il palo.

Il figlio della merda che si è preso l’incomodo di farmi sanguinare il cuore ha addirittura divelto il lungo pilone ligneo che stava sotterrato di almeno mezzo metro, pur di strapparla al mio affetto. Me la immagino urlante, mentre seviziata da mani rudi veniva tradotta dentro un lercio furgone, ancora legata. Mi immagino il suo campanello, muto, che tenta di far rumore per mandarmi in codice morse il messaggio “perché mi hai abbandonato, avevi detto che mi amavi.”

Sapendo che sovente i figli della merda imboscano le bici negli anfratti della foresta, ho girato in lungo e in largo i dintorni, ho chiamato rinforzi, ci siamo divisi, siamo stati punti da ogni tipo di creatura volante, per tornare al mare col cuore di tenebra. Mi era stata rubata e non l’avrei trovata mai più.

Non è per il valore monetario (che comunque vaffanculo), è perché l’amavo. Perché era mia. L’avevo regolata  perché aderisse alle mie corte e tozze leve,  insieme eravamo una macchina perfetta, che non conosceva difetti. Nel tornare all’umiliazione, elaborarne il lutto è cosa dolorosa, poiché ogni tanto mi torna in mente, bella com’era, forse ancor di più.

Questo racconto è per te, uomo orribile. Per te che pensi che rubare le biciclette sia un danno di poco conto, ben diverso dal furto in banca o in villa. Ti sbagli, schifoso. È un crimine talmente abietto da far diventare la vittima di estrema destra texana. Perché quando ti scegli la bici, ti scegli una compagna che ti porta a scuola, a lavoro, dal tuo amore, a mangiare un gelato o a fare serata senza l’assillo della patente, che ti porta al mare, in montagna, sul lago, che sai come curare quando esce la catena o quando si sgonfia una gomma. È un mezzo che capisci, che potresti smontare e rimontare da solo, che ti fa credere di essere capace, di essere libero.

Mi hai rubato la libertà e io non te lo perdonerò mai.

Questa invece è per te, ragazza mia.

“Non so con chi adesso sei 
non so che cosa fai 
ma so di certo a cosa stai pensando 
è troppo grande la città 
per due che come noi 
non sperano però si stan cercando”

Simone Stefanini

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Simone Stefanini

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