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5 motivi per cui abbiamo paura del remake del Rocky Horror Picture Show

Il cast del Rocky Horror Picture Show

 

Ragazzi dalle parti di Hollywood, professionisti che lavorate nel cinema o nella televisione, che problemi avete? C’è bisogno di fare il remake o il reboot di ogni cosa oppure possiamo stare un attimo tranquilli coi nostri ricordi, che sono quelli e non ce li tocca più nessuno, mentre voi vi divertite a scrivere e filmare robe nuove per il futuro?

L’ultima cosa che volevamo sentire è il remake televisivo del Rocky Horror Picture Show, annunciato dalla Fox per festeggiare i 40 anni del film. Non ce n’è bisogno, grazie, passiamo oltre. Vi diamo 5 macromotivazioni giusto per farvi capire l’entità dell’errore.

 

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1. Non sono più gli anni 70. Ve ne siete accorti vero? Il Rocky Horror, oltre a essere un delizioso tributo strampalato ai b-movie horror e sci-fi degli anni 30-40-50, è anche un manifesto di liberazione sessuale. Si affronta la bisessualità e la promiscuità in maniera scanzonata, a ritmo di rock’n’roll, una roba super rivoluzionaria per il 1975. Un po’ meno per il 2015. Di film che trattano questo tema ce ne sono stati caterve, di serie tv anche di più. Non c’è alcun bisogno di far diventare il Rocky Horror un musical innocuo per la tv. Ha sempre vissuto della dicotomia molti sanno cos’è, pochi l’hanno visto tutto e va bene così. Ci sono prodotti nati per essere visti alle proiezioni di mezzanotte, per essere film di culto. Non c’è motivo di sputtanarli, di edulcorarli per farli conoscere alla massa. Che la massa si prenda la briga di andare a vedersi l’originale, no? Tanto più che il RHPS è perfetto così com’è.

 

 

2. Le canzoni originali. “Hot patootie bless my soul, I really love that rock’n’roll” cantava Meatloaf nei panni di Eddie nel film originale. La musica del Rocky Horror Show, scritta da Richard O’ Brien (che interpreta Riff Raff) è figa oltre ogni misura. Rock’n’roll anni 50, il lato oscuro di Grease, fatta apposta per essere imparata a memoria e tramandata ai nipoti come bollino di qualità, come contrassegno di controcultura. Musica che sapeva di vinile e di chitarre acide, di sax invadenti e di pianoforti menati. Non sia mai che per venire incontro al gusto dei ragazzini di oggi si voglia adattare la bellissima colonna sonora ai ritmi hip hop, al beat iper compresso da teen star pubblicitaria o da vincitrice di X Factor. Il Rocky Horror gira da oltre 40 anni i teatri di tutto il mondo e non ha mai subito cali d’attenzione. Chi si prende l’onere di riscriverlo?

 

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3. Tim Curry è insostituibile. Basterebbe il nome. Un attore che verrà ricordato per due ruoli, per i quali è diventato insostituibile: Frank’n’Further, lo scienziato bisex col bustino, le zeppe e le calze a rete del RHPS e Pennywise, il clown di IT. La sua voce potente, il suo sguardo che seduce, la sua fisicità. È la pietra di paragone eterna per il personaggio, anzi, si può dire che il personaggio stesso sia nato con le sue fattezze. Cioè, lo vorreste vedere il reboot di Shining con uno qualsiasi che non sia Jack Nicholson? Facciamo di no.

 

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4. Laverne Cox come protagonista. Certo, come mossa potrebbe essere astuta: transessuale famosissima, la prima a guadagnarsi la copertina del Time, una delle star di Orange Is The New Black. Massimo rispetto per la sua missione per i diritti della comunità LGBT, ma non diciamo sciocchezze: un tranny con le fattezze femminili butta giù tutto l’impianto narrativo del musical. Si parla di omaggio ai b-movie degli anni 30, in cui uomo e donna hanno dei ruoli prestabiliti, sovvertiti da questo strano maschio pieno di groupie che è appunto Frank’n’Further, icona della rockstar anni 70. Non si parla del reboot di Ghostbusters, in cui cambiare il sesso dei protagonisti può solo che far bene, per non portarsi dietro tutti i paragoni del caso.

 

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5. La regia di Kenny Ortega, il coreografo di High School Musical. Dai, non scherziamo. Sarà anche un professionista con le palle quadrate ma il RHPS e High School Musical sono due cose  un tantino diverse. Il Rocky non ha bisogno di coreografie tecniche, ha le sue un po’ punk ed è per questo che è amato. È anche il regista del documentario su Michael Jackson This is it, e ancora una volta si parla di masse contro culto. Il culto, lo dice la parola stessa, è sacro. Non bestemmiamo, su, vogliamo ballare il Time Warp così com’è.

 

 

 

Simone Stefanini

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