Categories: TV e Cinema

Se ci stupiamo che Clint Eastwood sia un po’ reazionario, forse il problema è nostro

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È agosto, le notizie scarseggiano, mettiamola così: motivo per cui l’intervista uscita su Esquire in cui Clint Eastwood si scaglia contro il politicamente corretto, la generazione di mezzeseghe – la pussy generation, nelle sue parole – che l’America avrebbe allevato, sta facendo parecchio discutere.

Anche perché sempre nell’intervista già che c’era Clint si è anche schierato in parte in difesa di Donald Trump, approvando più la sua strategia di comunicazione a misura di uomo della strada, che i contenuti della stessa.

Eastwood è una delle poche celebrità di Hollywood che non hanno mai nascosto simpatie per il Partito Repubblicano, ma Eastwood è comunque rimasto sempre un conservatore decisamente anomalo, anche per gli Stati Uniti, visto che appartiene più all’area libertaria e individualista dei repubblicani.

Repubblicani dai quali si è discostato in passato soprattutto per i temi etici, diritti civili, interventismo degli Stati Uniti in scenari bellici, possesso di armi: è pro-choice per quel che riguarda l’aborto, non ha nulla in contrario ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, è stato contrario alle guerre in Afghanistan e Iraq, è a favore del gun control. Prima di prendere i forconi, sarebbe bene ricordarlo, visto che anche a Esquire, alla domanda “Ti senti ancora un libertario?” risponde “I don’t know what I am. I’m a little of everything.“, ovvero “Non so cosa sono. Sono un po’ di tutto“.

 

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Ed è così. È un individualista puro Clint, esattamente come molti dei protagonisti dei suoi film: ha una sua etica, ferrea, e non ha bisogno di leggi. Perché le leggi le ha già dentro di sé: e sotto il cielo stellato di piombo basta una .44 Magnum per farle rispettare. Potremmo andare avanti a lungo, anche perché è complicato tradurre queste sfumature nello scenario politico che siamo abituati a conoscere, visto che i libertari in Italia si contano sulle dita di una mano.

Per cui, perdute di vista le sfumature che tanto ci raccomandiamo di tenere in conto in qualunque altra occasione, a questo punto indigniamoci: Clint è diventato finalmente Kowalski di Gran Torino! È cattivo, razzista, reazionario. E lo ha mostrato apertamente, finalmente si squarcia il velo dell’ipocrisia… mah, contenti voi.

 

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Il reazionariato nelle opere di Eastwood è – per una parte del pubblico – una costante, dai tempi di quel fascista dell’ispettore Callaghan in poi – citato anche da Ronald Reagan nel 1985, per dirne una: sempre a proposito di Repubblicani anomali – e per altri ancora da prima, pure dai western di Sergio Leone in cui recita solamente, e a seguire ancora, fino più o meno ai giorni nostri: con pellicole indimenticabili e discusse come appunto Gran Torino, o solamente dimenticabili e comunque discusse come American Sniper.

La realtà dell’essere umano Eastwood credo sia un po’ diversa, e credo che la descrivesse bene Walter Mariotti, su Panorama, qualche anno fa, nel 2012, quando in poche righe riassumeva il modello di etica su cui è costruito intorno l’uomo Eastwood, che non sta né a destra né a sinistra, ma altrove: “Il potere non coincide con l’autorità. L’individuo viene prima del collettivo. Un uomo risponde al suo onore e alla sua coscienza prima che all’ideologia. I fatti contano più delle parole. E la vita resta una vicenda complicata, un mistero che da soli non si riesce a sciogliere se si vuole provare a diventare uomini“.

Certo, non è esattamente quel che emerge dall’intervista di Esquire, dove leggiamo quel che pensa un signore di 86 anni, conservatore nel senso peggiore del termine, ai limiti dell’indifendibile, un signore che rimpiange i bei tempi andati, o forse, solo quando di anni ne aveva quaranta di meno: ma avendo scelto di fare una difesa d’ufficio per quella canaglia di Clint, è una prova di cui per me andava tenuto conto.

Gabriele Ferraresi

Lavoratore intellettuale salariato

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