TV e Cinema

La Favorita è il trionfo dell’intrigo, del cinema e delle donne

Che Yorgos Lanthimos sia un regista raffinato e che ami un cinema ricco di trovate ed effetti, dal punto di vista della regia è cosa nota, ma con La Favorita, candidato come Miglior Film agli Oscar e presentato all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, ha raggiunto davvero l’apice di questa direzione. Grazie ad un terzetto di attrici una più brava dell’altra,  Olivia Colman (pazzesca), Emma Stone e Rachel Weisz, Lanthimos costruisce un film attorno al concetto del motto: “Il potere è donna e viene esercitato con qualunque mezzo”.

La Favorita è infatti un film che parla, essenzialmente, di potere o, per meglio dire, dell’esercizio del potere alla corte d’Inghilterra che, in quella precisa altezza cronologica (le vicende si svolgono durante la Guerra di Successione Spagnola, 1701–1714), era “affar di donne”. Infatti la volubile regina Anna, interpretata da Olivia Colman, golosissima e sempre in preda alla gotta, era attorniata da una serie di favorite, un gruppo di ragazze della nobiltà inglese capitanate da Sarah Churchill, Rachel Weisz, una “lady di ferro ante litteram”, sposata con un generale che, proprio in quegli anni, conduceva la guerra contro la Francia. A corte la vita scorre lenta e ritmata da rituali stucchevoli, come la gara di velocità tra anatre o il lancio di arance ad un paggio nelle vesti di un fauno.

Eppure lo strapotere di Churchill (così influente a corte da, di di fatto, governare la politica finanziaria del Regno), viene messo in discussione dalla comparsa di una lontana cugina, Abigail Masham (Emma Stone). Abigail, ex nobildonna ora in disgrazia dopo le dissolutezze paterne, con scaltrezza e operando in maniera decisa, riesce via via a entrare nelle grazie della Regina Anna, mettendo in posizione critica il ruolo, giustappunto, di “favorita” di Churchill: Abigail è più dolce e accondiscendente con la Regina, mentre Churchill è più rigida e imperiosa.

Lanthimos, con scene quasi sempre girate nei sfarzosi interni del palazzo della Regina (con clamorosi passaggi dal grigio cielo inglese del mattino al buio, rischiarato solo dalle candele dei servi, della notte della regina ma con qualche abuso del fish-eye va detto), realizza così un film giocato sull’acquisto o sulla perdita della fiducia, a qualsiasi costo. Ed ecco allora che tutto vale per il potere alla corte d’Inghilterra: anche e sopratutto l’inganno, anche vendere il proprio corpo, anche avvelenare l’avversario e, perché no, anche tentare di ucciderlo.

Se state pensando ad un film o con poca azione, vi state sbagliando. L’azione è tutta della lingua e delle scelte lessicali delle due favorite, sottolineate da grandangoli clamorosi a firma del regista, abili o meno a capire la psicologia di una regina come Anna, eternamente alle prese con la gotta visto che passa le giornate a rimpinzarsi delle peggiori schifezze nel regno (tipo l’orrida gorgonzola inglese), interpretata come dicevamo da una Colman bravissima a mettere in scena una donna, in fondo, ferita dai continui lutti che ha dovuto subire, come i ben diciassette figli morti prima di lei. Sullo sfondo, forse ancora dietro, vi stanno gli uomini di corte, praticamente semplici burattini nelle mani delle due gran dame, che riescono, senza soluzione di continuità, a governarli a loro piacimento.

Ed allora che il peso politico, seppur quello estetico rimanga preminente,del cinema di Lanthimos viene fuori: non c’è alcuna differenza nell’esercizio del potere tra uomini e donne. Anzi, una differenza c’è: (almeno) nell’epoca di Jonathan Swift le donne sono dannatamente le più brave negli intrighi di corte, nell’esercizio dell’intelletto e nella capacità razionale nelle scelte. E pensare che l’astro di Camilla Parker Bowles (tanto per dire) avrebbe brillato quasi trecento anni dopo…

Mattia Nesto

Fa che la morte mia, Signor, la sia comò 'l score de un fiume in t'el mar grando

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