Categories: TV e Cinema

Vinyl non è solo una serie tv, è un’immersione in un altro mondo

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La serie più attesa di questo inizio 2016, su questo non ci sono dubbi. Presentata da mesi come l’evento degli eventi, con i nomi di Martin Scorsese e Mick Jagger pompatissimi e sempre in evidenza. E finalmente ci siamo, finalmente il primo episodio di Vinyl è andato in onda: negli Stati Uniti su HBO, in Italia in versione originale con sottotitoli su Sky, in contemporanea alle 3 di notte e poi in replica in prima serata su Sky Atlantic.

Vinyl è la storia della scena musicale di New York negli anni ‘70: ha per protagonista Richie Finestra (Bobby Cannavale), un impresario discografico, giusto per usare un termine vintage, ma in realtà dei personaggi si cura poco. Non è una critica, è un dato di fatto: nelle due ore di durata del pilot assistiamo a crisi e tentativi di risalita da parte di Richie, ma in fondo quello che interessa allo spettatore è sbirciare alle spalle dei personaggi, vedere cosa sta succedendo sullo sfondo.

 

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Perché mai come in questo caso è l’intero mondo in cui è ambientata la serie a essere interessante: un mondo in cui si mischiano ambizione e autodistruzione, eccessi di ogni tipo e ansia da successo. In questo senso è emblematica la prima sequenza: Richie è in una zonaccia di New York, in cerca di “sugar”, cocaina. La trova senza grossi problemi e inizia a stendere qualche riga, quando si accorge che un bel po’ di gente sta correndo verso un locale: li segue e si trova in un posto in cui persone collassate si mischiano ad altre che fanno pompini in mezzo ai corridoi, mentre sul palco una band sta suonando da dio. Tutti ballano, Richie osserva. Sono i due mondi raccontati da Vinyl: quello viscerale delle cose che vengono raccontate nel momento stesso in cui stanno accadendo e quello dell’industria che cerca di trasformarle in profitto, anche a costo di snaturarle.

Una storia vecchia come il mondo, ma che viene raccontata con vicinanza e immersione viste poche volte tra televisione e cinema. Qualcuno potrebbe citare Almost Famous, ma in questo caso la distanza è ancora inferiore: non c’è un personaggio esterno in grado di portarci nella storia, come accadeva con il giornalista embedded nel film di Cameron Crowe. Qui siamo solo noi, immersi in una città pulsante, attraversata dai Led Zeppelin all’apice della loro carriera e animata da figure proto-punk come quella di Kip Stevens, leader degli immaginari The Nasty Bits, interpretato da James Jagger, il figlio di Mick.

 

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E poi, elemento tutt’altro che secondario, la musica. Non c’è un istante in cui in Vinyl non suoni un pezzo potentissimo, che completa e riempie l’esperienza dello spettatore. In tutto questo, capite che i personaggi sono quasi un accessorio, un elemento addizionale che permette di raccontare questa storia, ma da cui Vinyl non dipende. Almeno per ora, perché la presenza come showrunner di Terence Winter (The Sopranos, Boardwalk Empire, The Wolf of Wall Street) è garanzia di una potenza narrativa totale. Staremo a vedere: lo spettacolo è appena iniziato.

Marco Villa

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